Cartoline dalla terra di nessuno di Aidan Chambers

Creato il 05 agosto 2015 da Anncleire @anncleire

Infatti, se guardo indietro alla passione per la lettura che ha accompagnato tutta la mia vita, la sola attività che mi ha dato la forza di andare avanti e mi ha dato il piacere più intenso e duraturo, credo che sia questa la ragione per cui vuol dire tanto per me. I libri, gli autori che più ho amato sono quelli che parlano al mio cuore e dicono al mio posto tutte quelle cose sulla vita che ho più bisogno di sentire come confessione di me stessa.

“Cartoline dalla terra di nessuno” è il secondo romanzo di Aidan Chambers che mi capita per le mani e devo dire che mi sono innamorata del suo stile. Completamente diverso da tutto quello che ho mai letto fino ad ora, racconta storie incredibili con una facilità impressionante, che ti segnano e cambiano. Tra l’altro in questo volume Chambers mette insieme due mie passioni. Le cartoline, e io adoro mandarle e riceverle, anche se effettivamente non ci sono cartoline fisiche nella storia, e Amsterdam, una città stupenda, di cui mi sono innamorata nelle poche ore che ho trascorso passeggiando per le sue strade. Ci voglio assolutamente tornare, perché insomma è davvero spettacolare. Ma qui Chambers fa di più, prende i ricordi della seconda guerra mondiale e li unisce a un ragazzino che cerca la sua strada nel mondo, regalando una storia a più dimensioni, ricca e speciale. Un piccolo gioiellino. Forse è un po’ spoilerosa come recensione, ma volevo sottolineare uno degli argomenti trattati

Può il caso mutare il corso della nostra esistenza? Jacob, diciassettenne inglese, parte per Amsterdam al posto della nonna, bloccata a casa da una gamba rotta. Scopo del viaggio: partecipare alla commemorazione della battaglia di Arnhem, combattuta dal nonno cinquant’anni prima. Ma la cerimonia diventa il pretesto per la scoperta di una nuova vita, che affonda le sue radici in un passato sconosciuto. In una Amsterdam divisa fra tradizioni senza tempo e modernità, Jacob scoprirà che cosa significa amare. In ogni senso.

Il passato non è mai completamente dimenticato, anche quando si cerca di andare avanti e dimenticare. I ricordi arrivano e ti colpiscono alle spalle, come la marea, senza sosta, con una risacca che rischia di spingerti a fondo. E sono proprio le memorie dei periodi più importanti della nostra vita, quelle che in definitiva ci plasmano che restano con noi fino alla fine. Chambers cerca di catturare l’immaterialità dei ricordi con una storia che si svolge su più piani paralleli, con una solidità di intreccio ben congeniata e la sensazione, quasi, che il passato non muoia, ma si trasformi, per giungere nel futuro, impalpabile, ma con una forza d’urto capace di spezzare qualunque cosa lungo il cammino. È una storia che ti cattura fin dalle prime pagine, prima con Jacob, poi con Gertrui in un’alternanza sorprendente.

E abbiamo Jacob che parte dall’Inghilterra per arrivare ad Amsterdam, con i suoi canali, le sue strade, le sue parole incomprensibili, quell’olandese dai suoni gutturali e affascinante. Jacob vive con la nonna, per convenienza e per sentirsi a suo agio, quando in casa è bistrattato sia dalla sorella maggiore, affezionatissima al padre, che dal fratellino minore. Jacob è il classico awkward, nella sua vita familiare e a contatto con gli altri, con quel modo imbarazzato di porsi a contatto con il mondo. catapultato in una realtà che non conosce, cerca di adattarsi con i mezzi che ha a disposizione, ma la sua sopravvivenza è più determinata dalla generosità di chi incontra che dal suo spirito di adattamento. Ma Jacob non è un tipo che si lascia scoraggiare e vive tutte le esperienze in maniera viva e senza troppi rancori.

E poi c’è Gertrui che racconta la sua storia in prima persona, gli anni della Seconda Guerra Mondiale, l’invasione tedesca, e l’arrivo degli americani giunti a liberare un’Europa stanca e distrutta dai colpi del nazismo. Gertrui era una ragazza innocente, protetta da una famiglia benestante di una Olanda borghese e artigiana. Ma a contatto con la guerra deve crescere in fretta, sfuggire al giogo della solitudine e camminare per le sterpaglie di un popolo ridotto allo stremo. Gertrui si ritrova a fare da infermiera e cuoca, prodigarsi per chi arriva nella casa dei genitori, senza preoccuparsi dell’estrazione sociale o dei formalismi. La lotta per la sopravvivenza cancella tutto, ogni più piccolo spazio di pudore. Ed è qui che compare Jacob, con il suo fascino da straniero, la sua incapacità di parlare olandese e la voglia di vivere e combattere per liberarsi. È tutto molto concentrato, filtrato dagli occhi di Gertrui che ricorda la guerra e la sofferenza di un mondo che sembra perduto. Jacob, l’altro protagonista, deve affrontare due viaggi uno nella storia, nel passato e uno dentro di sé per capire chi è e da dove viene, per arrivare lì dove vuole arrivare. Quel viaggio di formazione troppo abusato, ma incredibilmente adatto alla situazione. Tra l’altro Chambers aggiunge un corollario di personaggi secondari avvincenti e speciali, a partire da Ton, che impartiranno a Jacob più lezioni di quante avrebbe mai immaginato, aprendogli gli occhi su una realtà che è molto complessa e incredibilmente affascinante. Ma soprattutto dovrà gestire il peso di un segreto e capire se vale la pena continuare a mantenerlo o rivelarlo. Come ci si comporta con la verità? Ma soprattutto Chambers affronta, con delicatezza e senza dare alcun tipo di risposta universale un tema che ormai ci riguarda da vicino, che ci soffoca, che ci obbliga ad aprire gli occhi e a riflettere, un tema sconvolgente, che di certo non possiamo soprassedere. Quello dell’eutanasia. Ci sono passata recentemente, e il libro è capitato in un momento in cui non avrei mai voluto pensarci, ma è lì, è necessario rifletterci, sbatterci il muso contro, pensare a cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, senza giudicare.

L’unica cosa che non sono riuscita ad apprezzare è stato nella parte centrale, la ricostruzione della battaglia di Arnhem attraverso altre voci, quelle dei soldati che davvero vi hanno partecipato, che a mio avviso appesantiscono il racconto, rendendolo poco fluido. È interessante scoprire cosa è successo, perché di solito non è uno degli aspetti più narrati del secondo conflitto mondiale, ma l’alternanza degli estratti risulta confusionaria.

L’ambientazione è curatissima, Amsterdam e l’Olanda sono tratteggiate benissimo. Leggere dei canali e delle strade che si affastellano in una delle città più affascinanti del mondo è talmente realistico che sembra di stare lì, a calpestare l’acciottolato, come quando davvero sono stata lì, nella piazza, a bere un boccale di birra, a sgranocchiare dolci, a respirare un mondo affascinante e unico, troppo spesso soffocato  dal rumore delle mitragliatrici e l’odore acre del  fumo.


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