In casa mia si stira il meno possibile. Solo l'indispensabile. Indispensabile indispensabile. Se no non ce la si fa. Punto. Ogni tanto contravvengo alla spartana regola e mi tuffo in una seduta di stiro epocale, rendendomi conto che sì, in effetti, i tessuti sono più morbidi, comunque occupano meno spazio in armadi e cassetti, quasi quasi profumano anche di più. Poi guardo il resto delle cose che ho da fare e torno all'aurea regola: si stende bene, si ritira piegando ancora meglio, si dà un colpo di ferro giusto là dove non se ne può fare a meno.
E su questo, lo riconosco, l'uomo di casa è di poco o punto aiuto: prima della nostra vita in comune le camicie andavano in lavanderia. E lì tornerebbero se non azionassi io il ferro. Che, per inciso, è un mezzo semplice e tradizionale: non c'è sugo con una come me a regalarle quelle meravigliose cattedrali a vapore. Al massimo le userei per cucinare.
Sul rammendo, invece, faccio un paio di considerazioni.
La prima è che da nipote di sarti sono l'onta della famiglia. Da piccola in sartoria il nonno mi faceva passare le marche e toglierle. Ma la nonna si crucciava perché non usavo il ditale: mi fa sudare la falange, ecco.
Però mi son stati regalati cestino da lavoro, aghi, uova da rammendo, ditali di tutte le forme, materiali e pesi, spilli, gessi, metri e forbici da sarto.
Io mi limito a orli, bottoni e piccoli rammendi di fortuna.
Non ho la macchina per cucire e mia mamma, all'occorrenza, rispolvera la vecchia Singer a pedale e manovella. Un cimelio che fa ancora il suo dovere. Ogni tanto mi viene la velleità del corso di taglio e cucito, ma non provo nemmeno a darle forma: so già che sarei un disastro.
Tuttavia, e vengo qui alla seconda considerazione, sul rammendo e sull'aggiustare le cose ho una mia etica.
E ne avevo già scritto proprio qui quattro anni fa, parlando di un'altra attività di cui si è persa un po' traccia ovvero il lucidar le scarpe.
E siccome lui sa scrivere meglio di me, lascio le parole di Henning Mankell, che io adoro, a sintetizzarla.
[...]Poi, improvvisamente, Linda gli aveva chiesto perché fosse così difficile vivere in Svezia. "A volte ho pensato che è tutta colpa del fatto che abbiamo smesso di rammendare le nostre calze" disse Wallander.[...] "Nella Svezia in cui sono cresciuto, la gente rammendava ancora le calze. Ce lo insegnavano a scuola. Un giorno, d'improvviso, era finita. Le calze bucate si buttavano via. Nessuno rammenda più le calze di lana fatte a mano. Tutta la società si è trasformata. [...] Finché si è trattato solo di calze, il cambiamento in sé non era così marcato. Ma l'usa e getta si è rapidamente diffuso a tutto. Alla fine è diventato una filosofia, una sorta di morale invisibile ma molto presente nella mente della gente. Io credo che abbia cambiato il nostro senso per quello che è giusto e quello che è sbagliato, per quello che si può fare al nostro prossimo e quello che non si può fare. [...] La generazione che sta crescendo oggi [...] nel loro bagaglio di ricordi i tempi in cui si rammendavano le calze non esistono proprio. I tempi in cui non buttavano via né calze né esseri umani." La quinta donna - Henning Mankell