(leggi la quarta puntata)
Alessandro: La domanda con cui Alberto chiude il suo intervento è molto interessante e, in tutta onestà, non credo di avere la risposta.
I quesiti sollevati sono comunque molti. Tu, Morgan, continui a ripetermi che il self-publishing “farà numeri straordinari” e io continuo a risponderti. “Embé? Cosa si intende per numeri? I pasti venduti da Mc Donald?”
Inoltre, e qui sono a dir poco basito, mi scrivi “Non esistono soltanto aspiranti scrittori frustrati dai rifiuti delle case editrici, ci sono anche scrittori scafati, disincantati, abili nel capire la prima onda buona con i piedi sopra la tavola da surf; questi affrontano i cambiamenti come imprenditori, non come soldatini passivi con istinti gregali, gente che una volta messo il punto a un libro contatta correttori di bozze, editor, pubblicitari, grafici, web designer, gente che spende migliaia di euro per confezionare al meglio un prodotto editoriale”.
Mi stai dicendo che ci sono scrittori che, finito un romanzo, danno 800 € ad un editor, 400 € ad un correttore di bozze, 500 € ad un grafico per una cover e via dicendo?
Cioè, mi stai dicendo che oltre ai frustrati ci sono anche quelli che sono proprio coglioni? Per carità, come sai rispetto i correttori bozze, rispetto gli editor (molto molto meno dei correttori di bozze) ma se l’arrivo di scrittori che spendono 2.000 € per farsi editare un testo, impaginarlo e correggerlo dei refusi per poi buttarlo su Amazon è una sconcertante novità, allora sono io che non ho capito nulla di questo mondo o forse ti ho capito male.
Non concordo nemmeno sul prendere atto che “a tanta gente piace la spazzatura, problemi loro”.
Non concordo perché questo è un problema serio. Molto serio.
Cito Giangiacomo Feltrinelli: «Il grado di civiltà del nostro Paese dipenderà anche, e in larga misura, da cosa, anche nel campo della letteratura di consumo, gli italiani avranno letto».
I risultati sono visibili a occhio nudo. Il prolasso civico dell’Italia è la prima vera causa del decadimento culturale e, soprattutto, economico, perché se milioni e milioni di persone preferiscono leggere Moccia e Volo anziché un testo che possa aprirgli gli occhi e spiegargli come funzionano davvero le cose in questo pianeta, il risultato non può essere che quello che vediamo.
Inutile poi lamentarsi se… finiscila tu la frase.
Morgan: Alessandro scrivi: «Mi stai dicendo che ci sono scrittori che, finito un romanzo, danno 800 € ad un editor, 400 € ad un correttore di bozze, 500 € ad un grafico per una cover e via dicendo?»
Sì, sto affermando proprio questo, ne conosco di Italiani e leggo tante storie simili nei siti di lingua inglese. C’è chi non crede più nell’editoria tradizionale, pur avendo qualità letterarie; persone che non stanno a guardare il mondo che non funziona, ma che costruiscono il proprio mondo investendo tempo e denaro. Dovremmo scandalizzarci? Penso di no, è una delle direzioni possibili. Dovremmo chiederci dove sia la qualità? Facciamolo, ma non dimentichiamo che la qualità oggi coincide sempre più, nella mente di tanta gente, al successo di vendite. Purtroppo? Purtroppo, ma tant’è. Non mi va di essere snob di fronte alla realtà. Ci sono eventi che mi piacciono ed eventi che non mi piacciono. Nel nostro dialogo non ho mai dato giudizi di valore di gusto, sto soltanto provando a fare il fisico della situazione, descrivendo. E vi descrivo che cosa sta accadendo nel self-publishing sotto i nostri occhi: numeri che crescono, numeri che corrono, soldi che girano. L’economia gira coi soldi, non con le posizioni prevenute e men che meno nostalgiche. Conosco persone che parlano da anni male degli ebook e intanto gli ebook sono sempre più diffusi; conosco persone che parlano da anni male dei romanzi da una stagione e intanto i romanzi da una stagione sono sempre più diffusi. La diffusione come parametro unico? No, non sto dicendo questo, bensì che le mode rincuorano i flussi economici dei settori più all’avanguardia, sostituendosi piano piano all’editoria tradizionale. Può piacere o non piacere, ovvio.
Prima non ho scritto «a tanta gente piace la spazzatura, problemi loro», ma «ho fatto mia l’idea da anni che se tanti lettori desiderano leggere schifezze mi riguarda poco». Mi riguarda poco. Non ho ambizioni salvifiche, mi impegno nelle battaglie che credo importanti, come faccio per esempio con il blog di Sul Romanzo dal 2009 e come facevo prima per altre battaglie che reputavo importanti. Feltrinelli aveva ragione, ma il consumo da chi viene determinato se non dalla somma di tante piccole scelte da parte degli Italiani. E allora dovremmo parlare delle famiglie, della scuola, della società, di tutte quelle componenti che integrandosi valorizzano o distruggono le menti dei giovani che un giorno saranno adulti. È vero, l’Italia ha tanti problemi, ma non mi piace dire, o almeno cerco di farlo sempre meno nel tempo: il sistema, l’Italia, gli Italiani, i lettori, ecc., se non con numeri e statistiche. Le grandi categorie per capirci. Io mi guardo allo specchio ogni sera e mi dico: «Che cosa hai fatto per migliorarti oggi?». E questo mi basta, perché vado avanti e indietro, spesso insoddisfatto. Tale modus interiore è cambiato negli anni, per molto tempo avevo il baricentro spostato verso l’esterno, alla ricerca delle teorie per migliorare (illusioni) la società con il mio piccolo contributo, mi accorgo che forse ho perso tempo. Un tipino francese che mi piace da sempre sosteneva: “Non basta fare il bene bisogna farlo bene”. Aveva ragione. Questo in primo luogo, poi il resto.
Alberto: Ragazzi, state diventando acidi come le zitelle dei romanzi di Andrea Vitali.
A parte ciò, Morgan, capisco cosa intendi e tra l’altro con il tuo approccio mentale si vive anche meglio la passione letteraria. Io purtroppo sono ancora fra chi perde tempo a credere che il mondo debba essere a misura di bellezza, e non contento mi faccio del male pensando che il concetto di letteratura sia: salvezza del genere umano dalla limitazione del pensiero. Ecco perché, ad esempio, anche soltanto la visione di un cialtrone senza arte né parte (ma il partito ce l’ha, oh se ce l’ha!) che conduce inspiegabilmente una rubrica televisiva sui libri e consiglia robaccia mi infastidisce assai.
Comunque, Morgan, volendo fare l’arpia orobica potrei parafrasare il tuo tipino francese e dire che “Non basta fare letteratura, bisogna farla bene.” E altrettanto “Non basta fare narrativa, bisogna farla bene.”
Dammi la soddisfazione infantile di ammettere che ti ho fregato, così posso tornare al punto per me centrale della questione: la qualità.
Io continuo ad essere convinto che “il raccontare l’uomo e il suo mondo” sia una vera e propria missione speciale; andrebbe riservata a talenti superiori alla media. Uomini capaci di interpretare e reinterpretare a uso di tutti gli altri umani l’evoluzione (o l’involuzione) della società e i grandi dilemmi dell’esistenza.
E in mancanza di una autorevole certificazione di questo talento (quello che dovrebbe dare la critica), bisognerebbe essere capaci di prendere con le pinze il successo di pubblico, che sappiamo può avere spiegazioni assai desolanti.
Perché se continuiamo a giustificare col “successo di massa” qualsiasi porcheria, se impariamo a dover venire a patti con esso, allora dovremmo anche pensare a Hitler come un formidabile saggista, visto che i suoi testi a un certo punto hanno avuto un successo strepitoso in Germania (e non solo).
Un libro pubblicato arma la mano di chi l’ha scritto.
Un libro pessimo è dunque più di un’offesa: sta ai limiti del crimine.
La parola scritta è la più alta espressione del pensiero umano, e non è un caso se il decadimento della civiltà coincide spesso con la decadenza della parola.
E più possibilità di pubblicazione non significa soltanto potenziali talenti in più: almeno in Italia, purtroppo, significa anche (leggi: soprattutto) porcate in più, visto il contesto in cui siamo, del tutto privo di passione e di ricerca della qualità.
Da questo punto di vista temo moltissimo l’evoluzione tecnologica della parola scritta: non ho nulla contro le nuove tecnologie, che utilizzo e apprezzo. Ma è un dato di fatto che la velocità è nemica della profondità di pensiero.
Siamo invasi di roba nuova, siamo sommersi dalle novità e dalle illusioni del nuovo. La novità pare la grande urgenza del secolo. La novità, non la qualità. Siamo tutti portati a pensare al dopo, non al goderci al meglio quel che abbiamo adesso o che abbiamo fatto, come se il dopo dovesse per forza essere ancor meglio dell’adesso.
Quel che mi preoccupa delle nuove tecnologie in riferimento alla letteratura è il principio su cui si basano tutte le tecnologie: la velocità.
La parola importante ha bisogno di lentezza, non di velocità. Il bello nel troppo veloce si perde, quel che vedi è solo apparenza.
Spero di sbagliarmi, ma temo che leggeremo molto ma troppo velocemente perché possa rimanerci dentro qualcosa.
I sintomi di quel che dico forse ci sono già: abbiamo migliaia di nuove possibilità comunicative ed espressive offerteci dalle tecnologie, ma al contempo stiamo regredendo in alfabetizzazione e i dialoghi fra partner, amici e colleghi di lavoro sono spesso desolanti per contenuto, e mi fermo a questo livello sociale perché poi dovrei parlare dei dialoghi e delle parole dei politici, degli uomini di spettacolo e di molti “artisti” moderni.
Ammettiamolo: tutti presi dal vortice della velocità e della modernità a basso costo, ci consideriamo più intelligenti e scaltri e in potenza di successo (visto che una chance la si da a tutti, o perlomeno ti fan sembrare che oggi sia così) rispetto ai nostri genitori. In realtà, noi uomini adulti del nuovo millennio siamo in media più insulsi delle generazioni che ci hanno preceduti.
Sarebbe importante esserne consapevoli, a volte.
A Federico Moccia negli anni Sessanta/Settanta avrebbero messo un lucchetto esplosivo sulla porta di casa.
[La prossima puntata sarà online mercoledì 27 febbraio 2013]
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