(leggi la quinta puntata)
Alessandro: Morgan, nonostante Diderot, non mi hai convinto, proprio in virtù di quanto Alberto sostiene. Farlo bene, già. Ma se a stabilire se una cosa è fatta bene è Fabio Fazio, allora siamo alle solite. Il tuo discorso reggerebbe se il lettore italiano si in-formasse sui lit-blog, leggesse recensioni fatte con criteri seri e non da pennaioli a cottimo o, ancora peggio, da scrittori che su Facebook dopo aver postato le foto delle vacanze insieme si recensiscono a vicenda, in un vortice ridicolo che ho sintetizzato – prendendomi una valanga di insulti – in:
io recensisco te;
tu recensisci me;
egli recensisce noi;
noi recensiamo voi;
voi recensite loro;
ed essi non vendono un cazzo.
Oggi funziona così e il web 2.0 ha ampliato questo turbine a livelli spaventosi. Io non ho retto allo schifo e ho eliminato dagli amici di Facebook 2800 contatti (peccato non poter eliminare direttamente le persone, vabeh, questo è un altro discorso).
Per questo e per altri mille motivi, la tua domanda non può essere accolta, come dicono a “Forum”. Anche il discorso che Alberto fa sulla velocità è pertinente. C’è un bellissimo articolo di quello che, personalmente, considero “il più grande scrittore morente”, dal titolo “Baricco ha twittato un nuovo romanzo”, di Massimiliano Parente, ex biologo e ora odiatissimo scrittore. Lo trovate qui: e vi consiglio davvero di leggerlo, come vi consiglio di leggere la trilogia di Parente: La Macinatrice, Contronatura e L’Inumano.
Alberto: Il quale Massimiliano Parente, ahimè, non vorrei si sprecasse nel ruolo (un po’ costretto, un po’ auto-ritagliato) del provocatore di benpensanti. Il suo reiterato onanismo pubblico con dedica alle Minetti di turno è una sorta di suggestivo stalking letterario che però a mio parere indebolisce l’intellettuale Parente, uno dei pochissimi capaci di svelare l’Italia e la creatura uomo smontandoli pezzo per pezzo.
Tra l’altro, visto che lo citi, Massimiliano Parente ha scritto che “Per me la letteratura o è progressiva, e quindi importante per il pensiero, o è intrattenimento, e allora chissenefrega, preferisco il cinema o Youporn.”
Meravigliosa, mi ci riconosco e la sottoscrivo con adolescenziale felicità al netto dell’abuso di mano destra!
A proposito di ciò, perché non parliamo della figura odierna dell’intellettuale? Quanti sono, oggi, gli intellettuali narratori? O più che altro sono rimasti i filosofi, i professori universitari e la crème da museo? Come sono fatti, cosa dicono, come arrivano al lettore questi scrittori intellettuali? E le nuove possibilità comunicative, i blog e i social network in primis, che in teoria dovrebbero permettere un maggior circolo di idee, riflessioni sociali e culturali, vedono davvero gli scrittori presenti, attivi?
A guardare il panorama di questa ultima campagna elettorale, parrebbe che di scrittori interessati a lavorare sul tessuto sociale in questa fase storica così complessa e fragile ce ne siano ben pochi: mi pare siano quasi tutti lì nascosti dietro l’angolo, passivi, a spiare in attesa di spirare o spillare.
Vladimir Vladimirovič Majakovski affermò quasi cent’anni fa che:
“In una nave che affonda gli intellettuali sono i primi a fuggire; subito dopo i topi, molto prima delle puttane.”
Uhm, forse siamo sempre troppo cattivi con gli scrittori moderni. Figli di gran tipografa ce ne sono sempre stati.
Nonostante ciò, mi piace pensare all’esistenza di qualche intellettuale d’area letteraria, non tanto nella definizione un po’ viscida e assai sopravvalutata in stile Pasolini, ma piuttosto in una moderna identità, desiderosa di partecipare con opere e omissioni di silenzio a una sorta di costruzione sociale del presente e ancor più del futuro. Chi narra dovrebbe raccontare il tempo ma anche e soprattutto interpretare la realtà, forse anche abbassarsi a mettere in piazza la propria maggiore ampiezza di sguardo, gli eventuali slanci da visionario utili per un confronto con la stretta razionalità politica. Non trovate?
Intendiamoci: qualche ottimo scrittore-intellettuale c’è anche oggi. Per esempio io ho letteralmente adorato l’Edoardo Nesi di L’età dell’oro, strepitoso lavoro letterario di qualche anno fa sui rapporti umani all’alba della crisi economica. L’altro pratese Veronesi e Erri De Luca sono altri due nomi celebri che mi vengono in mente e che ho apprezzato assai. Magris probabilmente è bravissimo, devo solo riuscire a vincere la paura della noia. E accanto ad autori che dovrebbero essere stampati esclusivamente su carta igienica, ci sono senza dubbio tanti altri scrittori che dicono cose importanti. Non cito i loro nomi tanto non gliene frega nulla di essere citati da uno come me.
Ma mi piacerebbe sentire la vostra su questo aspetto: di fatto, di tutto ciò, di questo vario ed eventuale ben di dio, rimane vivo qualcosa in questa società di pezza?
La coscienza pubblica viene anche solo un pizzico modificata dall’ipotetico potere della parola letteraria?
Non è che l’unica parola scritta rimasta efficace e potente è quella dei tribunali, mentre quella degli scrittori nel migliore dei casi viene ridotta a epitaffio per la bacheca dei morenti di Facebook?
Datemi una risposta diversa dalla mia, ve ne prego.
Dirò di più: oggi tutte le discussioni sociali sono se possibile più desolanti, superficiali, insulse.
Imbarbarite da luoghi comuni mai approfonditi, aggressività a basso prezzo, comodità di pensiero o snobismo di ritorno. La società, dal punto di vista intellettuale, sta regredendo. Quasi quasi viene da giustificare gli intellettuali che se la danno a gambe levate.
So di essere molto duro, forse troppo duro, avvolto come sono nella mia visione quasi integralista di sacralità della letteratura, ma mi sorprendo spesso a pensare che la letteratura e gli intellettuali stiano fallendo la loro possibilità di migliorare la consapevolezza umana.
Una mia amica mi ha di recente ricordato che non è così, che le cose importanti che si scrivono restano in qualche modo in circolo per quei pochi che le sanno riconoscere, pesare e un giorno utilizzare. Tanto per i pochi.
Sì, forse è così, di certo lo spero. Però mi sembra comunque troppo poco, questa ipotesi di speranza del tanto per pochi.
Un esempio è Gomorra di Saviano, un libro riconosciuto pubblicamente come uno dei più importanti degli ultimi vent’anni. Bene, ma alla fin fine quel libro cosa ha cambiato? Io l’ho letto con passione, come me credo tanti, però ammettiamolo: non ha modificato nulla. Stringi stringi, socialmente parlando, dopo questi anni abbiamo solo un nuovo scrittore in più che va da Fazio (la novità è che non si limita ad andare da Fazio ma CONDUCE con Fazio), e una scorta di stato pagata a tempo pieno per un intellettuale invece che per un politicante o un magistrato. Un indubbio successo letterario, un fallito tentativo di trasformazione in icona della pseudo-sinistra italica, ma dal punto di vista dell’“intelletto sociale” anche con questo libro non c’è stata la minima crescita culturale nonostante sia stato letto e commentato da milioni di italiani. È stato l’ennesimo libro definito “di riferimento” che però non ha cambiato nulla. Il Nord continua a riempire di merda il Sud, il quale si rifà rifornendo il mittente di polvere bianca e cemento, lo Stato vigila connivente per conservare il matrimonio d’interesse, l’opinione pubblica fa finta di scandalizzarsi e applaude Saviano, basta che non si candidi perché sarebbe troppo.
Fantastico.
Ha ragione Parente. Meglio Youporn.
A cosa serve oggi un intellettuale, se l’intelletto medio altrui è di norma collocato nello smartphone?
Morgan: Voi siete due grandi rompicoglioni (si può dire qui? Dai, per questa volta sì, ci scuseranno i lettori), perché le questioni che ponete non mi fanno dormire poi la notte, mi viene in mente un libro o una frase che avevo letto online e salvata in qualche file periferico (e mai più riaperto da tempo) nel mio pc, e così ora ho gli occhi sparati sullo schermo e tento di raccogliere le idee per replicare (ah, sono le 04.16 della notte). Mi interessa molto la questione degli intellettuali perché ho frequentato in passato per alcuni anni un paio di persone che a loro modo ho ritenuto intellettuali e che hanno avuto in dono l’abilità di condizionare/alterare certe mie visioni con una forza di cui ho smarrito la sensazione oggi ma che al tempo ritenevo ineludibile. Perché di sensazioni dobbiamo parlare, che dopo diventano idee ragionate nella mente. Da quando internet ci ha permesso di accedere alla “conoscenza” ci siamo illusi che la conoscenza stessa si trasfonda in noi per magia, basta leggere due articoli, fare una visitatina a Wikipedia, andare a vedere se è una bufala su Paolo Attivissimo, confermare il tutto se quella cosa è condivisa da chi stimiamo e dire che sì, anche noi siamo d’accordo aggiornando con una frase sagace il nostro profilo Facebook e se molti pigiano mi piace ci sentiamo intelligenti. Mi chiedo, e ci scuseranno per la seconda volta i lettori, che cazzo di conoscenza sia questa. Cito tale serie di concatenazioni perché negli ultimi anni ho visto nascere e confermarsi scrittori “intellettuali” gente che sta sul pezzo condividendo farina altrui, gente che solo perché è fra i primi a condividere pubblicamente – in particolare nei social network – qualche opinione allora una nutrita schiera di seguaci solidarizza con il concetto che l’intelligenza risiede là, dove tutti indicano. Vogliamo fare qualche nome? Avanti.
Citate Massimiliano Parente, il quale mi sta simpatico a giorni alterni (leggo le sue dichiarazioni su Twitter). Non trovo mai in lui idee nuove. Mai. Quando scrive qualcosa o sono battute demenziali oppure replicano cose che ho già letto in lingua inglese su qualche sito o blog. Mi sono chiesto più volte se fosse un replicatore seriale di idee altrui.
Citate Alessandro Baricco. Forse lui è peggio. La serialità assume connotati disarmanti. Ho trovato nei suoi pochi libri che ho letto intere parti assai simili su libri di lingua inglese. Inoltre, la storia dei barbari, spacciata per una visione da intellettuali, forse ricordate che nel 2006 iniziò una rubrica fissa su Repubblica, mi provocava grandi risate: un collage culturale perfetto. Mi venivano in mente, quando lo leggevo, diversi veri intellettuali: Aleksandr Zinovyev, István Mészáros o Noam Chomsky. Viva Dio, tutto ben armonizzato e strutturato (faccenda non irrilevante perché abbisogna di una rielaborazione), eppure non mi è piaciuta l’operazione, perché le fonti erano sempre altre, quando dichiarate, come se le sue parole fossero soprattutto frutto di rielaborazione, quando invece non era affatto così non di rado.
Potremo continuare con i nomi poiché non pochi sono coloro che hanno fatto del copia e incolla un lavoro magistrale, Saviano incluso, il quale ha perfezionato l’arte del collage.
Dovremmo quindi liquidare questi e altri nomi come farabutti e furbi? No, non sto sostenendo questa tesi, vorrei però far notare che i veri, ripeto, veri intellettuali non sono, dal mio punto di vista, persone che copiano e mischiano e sistemano e assemblano. No. Possono essere ritenuti intellettuali da milioni di persone ma io continuo a ritenere intellettuale colui che ha la capacità di forgiare idee nuove, motivare visioni nuove, prefigurare scenari nuovi, riuscendo con la forza della ragione ad argomentare una tesi, indipendentemente dal seguito. Ma so che il “seguito” (Leggi: tifosi) va di gran moda.
Mi chiedo, e magari ne parleremo in futuro: non è che la fissazione sugli intellettuali, figlia di una certa cultura marxista, ereditata nella società civile per decenni, sia un falso problema da porsi? Non è che la cultura, oggi, forse dovrebbe porre lo sguardo verso non tanto le categorie (distinguendo di continuo e cercando la propria identità specchiandosi per associazione), quanto invece gli effettivi risultati concreti? Chiediamoci un’idea che cosa ha conseguito più che preoccuparci di chi è o meno intellettuale, perché a volte basta replicare in lingua italiana concetti prima scritti in lingua inglese o francese per poi vedere epigoni urlanti al miracolo di genialità…
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