Il 21 dicembre, a seguito di sentenza favorevole per i lavoratori, 33 persone erano state reintegrate in Vodafone per ordine del giudice. Come ricorderete senza prestare effettivamente servizio, ma solo dal punto di vista contabile. Contemporaneamente erano state licenziate da Comdata Care, l’azienda presso la quale erano stati ceduti.
Ovviamente l’apparente comodità di stare a casa pur pagati, non dura mai a lungo e infatti ricorderete che a febbraio Vodafone ha aperto la procedura di licenziamento collettivo e conseguente messa in mobilità (di tasca vostra!) proprio per le stesse 33 persone. Che ora, come da copione, hanno ricevuto la loro bella lettera di licenziamento.
Facilmente impugnabile, mi azzarderei a dire, in quanto il licenziamento, diretto proprio nei confronti di quei 33 colleghi (e non invece contro quei soggetti che la legge prevede debbano essere colpiti dai licenziamenti collettivi per motivi economici) è palesemente discriminatorio e persecutorio. Ma quest’argomentazione la lasciamo ai nostri avvocati.
In questi mesi per noi che siamo rimasti al lavoro, in ufficio si respira un’aria bella pesante: frequenti colloqui (solo per alcuni) con l’ufficio del personale con l’intento di indurre quante più persone possibile a rinunciare al ricorso, mostrandoci che azienda solida e valida sia Comdata Care.
Il tutto, neanche a dirlo, con la benedizione dei sindacati confederali.
A proposito di sindacati, questi il 25 maggio hanno siglato un accordo con Vodafone e Comdata con il quale Comdata Care (il nostro datore di lavoro, appendice di Comdata S.p.A., costituita – ricorderete – con il solo scopo di accoglierte i mille ceduti da Vodafone e inoltre senza nessun’altra commessa in tasca se non quella Vodafone) entro il 2014 si dovrebbe fondere con la Casa Madre (Comdata S.p.A) assicurando in questo modo – almeno secondo loro – il posto di lavoro a chi decide di restare. E Vodafone dal canto suo si impegnerebbe (il condizionale è d’obbligo) a proseguire la collaborazione con Comdata anche oltre la scadenza del contratto, che avverrà nel 2015.
Senza pensare che la nuova riforma del lavoro appena approvata renderà molto più semplice il licenziamento per motivi economici e che quindi nessun posto di lavoro sarà più al sicuro. Nemmeno quello dei colleghi che hanno deciso di rinunciare alla causa in cambio di fasulle presunte garanzie.
Alcuni, circa una dozzina, complici il mutuo, l’affitto i figli a carico e la crisi, hanno ceduto e hanno firmato la rinuncia (in cambio di niente! Anzi pagando salatamente e di tasca propria le spese per la rinuncia all’avvocato).
Gli altri, circa 100 persone, sono andate avanti a testa alta con l’obiettivo non di “alzare due spicci”, ma di vedere riconosciute le loro ragioni. Il 5 giugno scorso c’è stata la sentenza che le ha riguardate. Anzi che CI ha riguardato, perchè nel gruppo in questione ci sono anche io. E abbiamo vinto!
E’ passato quasi un mese.
Intanto l’accordo triangolare di cui sopra è stato abilmente manipolato e l’azienda ha diffuso un comunicato nel quale ha scritto nero su bianco che la fusione si farà solo se ci sarà la rinuncia al maggior numero di ricorsi.
Ma come? I sindacati hanno espressamente scritto che la fusione non sarebbe stata sottoposta ad alcuna condizione e ora vengono smaccatamente smentiti dall’azienda!?! E quei poveretti che hanno rinunciato alla causa confidando nella fusione?
Ma forse forse che non siano tanto attendibili le parole di chi dovrebbe proteggere i nostri diritti e invece si ostina a concludere accordi in perdita con le aziende? In perdita per i lavoratori, s’intende!
Rimaniamo ancora una volta senza parole.
Noi, che abbiamo vinto la causa del 5 giugno siamo in attesa di evoluzioni. E data la situazione pregressa ci aspettiamo rocamboleschi giochi di prestigio da parte di chi pensa di avere il coltello dalla parte del manico! Senza arrenderci naturalmente!