Da allora non ho perso occasione di andare ad ascoltarla a teatro o in qualunque altra circostanza mi sia stata data la possibilità di vederla recitare.
Nel tempo ho anche imparato ad apprezzarla come persona, per la modestia e per l’intelligenza, che – pur non conoscendola di persona – vengono fuori dal suo modo di essere in scena e fuori della scena.
Trovo di sorprendente sensibilità la sua capacità nel tempo di scegliere testi e personaggi che ne rispecchiano il trascorrere delle età della vita e il percorso emotivo che caratterizzano queste diverse fasi dell'esistenza. Ad esempio, oggi non la vedrei più nei panni dell’Elisabetta di Maria Stuarda, mentre l’ho trovata perfetta l’anno scorso in quelli della protagonista dell’adattamento teatrale di Tutto su mia madre, così come è certamente a suo agio nelle vesti sdrucite di Cassandra (in scena al Teatro Vascello dal 19 al 23 ottobre).
Sono dunque passati i tempi dei personaggi potenti e volitivi, vincenti e assertivi, quelli che si sposano perfettamente con le ampie prospettive di un’età adulta che si porta dietro tutto lo slancio della gioventù; al contrario, questa nuova fase della vita e della carriera artistica di Elisabetta trova voce in personaggi più dolenti e destinati a fare i conti con la sconfitta e il dolore.
La preveggenza di Cassandra non è altro che la capacità di leggere i segni del presente, una specie di sensibilità acuita ed esasperata che rende inevitabilmente questa donna sola e sempre in bilico sul baratro della follia.
Questa Cassandra, o del tempo divorato è un progetto ambizioso ma forse non perfettamente riuscito.
Ambizioso perché tenta di amalgamare testi antichi (Eschilo, Seneca, Euripide) e moderni (Christa Wolf, Jean Baudrillard, nonché testi di Massimo Fini), linguaggi e registri differenti (la parola, la musica, la danza). La recitazione intensa di Elisabetta si intreccia con il tessuto musicale curato da Daniele D'Angelo e il tessuto corporeo rappresentato dal movimento in scena di tre corpi, quelli del mimo giapponese Hal Yamanouchi e di Carlotta Bruni e Rosa Merlino, sulle coreografie di Aurelio Gatti.
Questo spettacolo è stato finora rappresentato in ambientazioni suggestive e coerenti con il testo, teatri romani e aree archeologiche presenti in varie parti del nostro paese. Il Teatro Vascello, pur riproducendo la forma del teatro classico (area di scena in basso e pubblico tutt'intorno su gradinate ascendenti), offre invece uno spazio nero, plasmato dalle luci e dai movimenti in scena di Cassandra e dei tre ballerini, e anche per questo il compito di Elisabetta risulta ancora più arduo e la sfida ancora più interessante.
Dico che Cassandra è in parte un progetto incompiuto perché il linguaggio della tragedia greca ha una forza di per se stesso e nel suo essere antico trasmette una potenza che la recitazione di Elisabetta accompagna ed esalta, mentre i testi contemporanei che, nella prima parte squarciano il linguaggio aulico dell'antichità sorprendendo piacevolmente l'uditorio, nella seconda parte - lasciati soli - non reggono il confronto, si trasformano in astratto contenuto didascalico che richiede il necessario sostegno di un climax recitativo e musicale.
Nelle mani di un'altra attrice questa Cassandra sarebbe forse diventata puramente strumentale ad una riflessione senza sfaccettature sul presente; grazie ad Elisabetta Pozzi invece acquista spessore umano, identità, individualità, ambiguità, insomma quella complessità che è la forza dei personaggi delle tragedie greche e che può diventare la forza di un teatro contemporaneo capace di parlare alle nostre menti e ai nostri cuori senza cedere al richiamo della semplificazione.
Voto: 3,5/5