"E' logico affermare - si legge nella sentenza della terza sezione penale depositata ieri - che un filmato come quello oggetto del presente giudizio, che mostra riprese fatte con telecamere installate in un locale di pochi metri quadrati, in cui gli individui si muovono in uno spazio ristretto, sono ripresi non solo di schiena, ma seppure per pochi attimi (peraltro perfettamente fissabili anche dalle più comuni apparecchiature) anche di profilo, ha consentito di giungere alla identificazione dei piccoli che su tale scena si muovono".
Anche il Garante per la privacy aveva fatto tale rilievo con un "provvedimento di divieto dell'ulteriore diffusione del filmato stesso". La Suprema Corte, condividendo le conclusioni dei giudici d'appello, sottolinea come "sia emerso che il sacrificio della privacy delle vittime sia stato operato non sull'altare dell'interesse generale bensì su quello della tempestività del servizio giornalistico, al fine di dare la notizia per primi, quindi esclusivamente per il successo della testata".
Infatti, nel caso in esame, "l'interesse giornalistico non era quello di riferire un fatto, laddove che ci fosse un procedimento penale in corso per dei supposti atti di violenza sessuale avvenuti nella scuola di Rignano Flaminio era circostanza ormai nota, ma proprio quello di mostrare le immagini di un atto giudiziario e, al suo interno, quelle del perito e delle piccole vittime. Non preoccupandosi gli imputati di commettere, pur di pubblicare la notizia esclusiva, anche l'ulteriore reato di cui all'articolo 684 cp, diffondendo atti di un procedimento penale non pubblicabile, reato che è stato estinto per oblazione".
No, dunque, anche alla concessione delle attenuanti generiche: "La Corte territoriale - conclude la sentenza - ha ritenuto infatti che vi ostasse il riscontrato dolo, palesatosi con la piena subordinazione dell'interesse alla riservatezza delle giovanissime vittime di gravi (seppur presunti) abusi alle ragioni non tanto della cronaca quanto della competizione giornalistica".