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Cassibile di Siracusa: “Quel maledetto armistizio del ‘43”

Creato il 08 settembre 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Soldati inglesi a Cassibile.

Soldati inglesi a Cassibile.

di Salvo Figura. I nostalgici del fascismo lo chiamarono “L’armistizio della vergogna” perché stipulato tradendo l’alleanza coi tedeschi. Gli antifascisti lo chiamarono anch’essi “della vergogna” per i modi vili e criminali con cui fu stipulato.

Montanelli definì “la politica dei magliari” quella del re e di Badoglio che in quei giorni convulsi pensarono solo a salvare la pelle e il… vasellame, insieme al codazzo di dame e “puttane”(lo dico io!) che fece corteo fino al porto di Brindisi.

Era un armistizio che andava firmato in ogni caso e anche contro il parere di Hitler, ma i modi in cui vi si giunse e soprattutto l’agire codardo con cui fu annunciato e il ritardo criminale con cui fu diffuso, gridano vendetta davanti agli uomini e al Dio biblico degli eserciti.

Il generale americano Eisenhower, comandante in capo delle forze americane in Europa lo definì “ the crooked deal” e non aveva tutti i torti. E così giudicando una porcata quell’affare, si rifiutò di firmarlo delegando il Generale di Stato Maggiore Bedell Smith. Mentre il nostro generale Castellano(illustre sconosciuto e privo di qualsivoglia potere di contrattazione) dovette porsi in un “umiliante attenti” sotto una tenda da campo, in quel di Cassibile, sotto un torrido frinire di cicale affannate dal caldo di settembre.

Questo è quanto narra la storia ufficiale raccontata nelle scuole. Quella vera invece, e non svelo nulla di nuovo, fu un balletto di “accetto-non accetto” degno del miglior minuetto.

La nostra delegazione fu fatta sudare letteralmente sotto una tendaccia( forse la peggiore di tutta la US Navy) in mezzo a un rachitico mandorleto. Uno dei tanti che vanno da Santa Teresa Longarini ad Avola, passando per Fontane Bianche. La polvere dell’agosto torrido di quel ’43 non si era ancora posata, che il 3 settembre, gli americani imposero la resa senza condizioni all’esercito italiano, già sconfitto in tutta l’Africa e nella taiga russa. Gli sbarchi di Licata e Siracusa del 10-11-12 luglio avevano troncato ogni velleità di resistenza del pur forte esercito tedesco e dello squinternato esercito italiano. La Sicilia era stata conquistata nel giro di appena tre giorni, ma di Armistizio, Badoglio e il re non volevano sentir parlare. E così iniziò il minuetto che andò dal 2 settembre alla sera dell’8.

Pare che il generale Alexander abbia detto in quell’occasione, osservando la delegazione italiana rinchiusa in quella tendaccia come topi in trappola: “Questa è una maniera molto buffa di trattare da parte del vostro governo”.

Fatto sì è che il minuetto, tra telegrammi da e per Roma alle 4 del mattino del 3 settembre, continuò coi ballerini americani esausti per tutte le finte obiezioni che gli italiani ponevano, e le clausole che, sempre gli sconfitti, pretendevano di porre. Non avevamo capito, o fingevamo, che si trattava di una resa senza condizioni; anzi con la condizione che gli italiani avrebbero dovuto deporre le armi puntate contro gli “Alleati” e puntarle contro chi volessero ma mai contro gli Anglo-Franco-Americani.

Alle 17,15 del 3 settembre finalmente Castellano firmò tre copie dell’armistizio. Non sapeva ancora, il tapino, che ciò che aveva firmato era un “armistizio breve”. Quello “lungo” sarebbe scattato dall’8 settembre, ma era già valido quello del 3 per la cessazione delle ostilità. E fu allora che tra la delegazione italiana e quella americana il clima si fece teso e i rapporti durissimi, giungendo quasi al punto di rottura definitiva con conseguenze inimmaginabili.

I nostri governanti infatti erano recalcitranti sulla data della comunicazione ufficiale dell’armistizio al punto che il re convoca l’ambasciatore tedesco Rahn per rassicurarlo sulla fedeltà assoluta dell’Italia al Fuerher. Siamo giunti alle 11,30 dell’8 settembre.

Alle 12,00 Eisenhower apprende di tutta la manfrina e rifiuta qualsiasi rinvio dell’annuncio.

Alle 16,02 l’agenzia Reuter di New York apprende la notizia dell’armistizio e lo stesso Von Ribbentrop comunica all’ambasciatore Rahn la capitolazione dell’Italia. Questi chiama il Ministro degli esteri Guariglia che smentisce, insieme a Roatta, generale dell’entourage di Badoglio, definendo la notizia “una spudorata menzogna degli inglesi, da respingere con sdegno”.

Il balletto continua. Radio Algeri annuncia la notizia ma il governo italiano continua a smentire.

Alle 18,45 il Consiglio della Corona è riunito d’urgenza, mentre l’ambasciatore Rahn urla a Guariglia “questo è un tradimento”.

Finito il Consiglio della Corona, Badoglio si reca alla sede della EIAR per il fatidico, ondivago e bizantino annuncio. Sono le 19,45 dell’8 settembre. Da cinque giorni è in atto l’armistizio ma ne sono a conoscenza solamente alcuni maggiorenti italiani, gli americani e ufficiosamente i tedeschi.

Cinque giorni in cui migliaia di nostri cittadini inermi e altrettanti militari pagheranno con la vita e le deportazioni la loro fedeltà a una Patria che li ha traditi, umiliati e abbandonati.

La politica dei magliari, allora come ora mostrò il suo volto migliore, il suo carattere imbelle, la sua spocchia mafiosa. Da allora e per settantadue anni ne paghiamo le conseguenze.

Onore, lealtà e fedeltà alla bandiera e al popolo, avrebbero voluto che già il 3 settembre si fosse annunciata al mondo la nostra capitolazione che era già nei fatti e nelle armi ma non nell’onestà dell’ammissione di una sconfitta senza attenuanti.


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