Casta che vince, casta che perde. Come intervenire sui costi della politica oltre i gesti simbolici

Creato il 03 febbraio 2012 da David Incamicia @FuoriOndaBlog


Che la politica e i suoi costi dovessero tornare prepotentemente al centro del dibattito pubblico, specie in questa fase di enormi sacrifici per i cittadini, era fuori discussione. Ma che se ne stia parlando stavolta senza scadimenti demagogici, quando invece in passato non si faceva altro che inveire propagandisticamente contro la "casta" per lasciare poi sempre inalterate le cose, è il vero elemento di novità probabilmente favorito dal clima di sobrietà e di rigore inaugurato dal governo dei tecnici e dal consenso che questo riscuote nella comunità.
Ad osservare bene il quadro complessivo della nostra società, si avverte infatti che i feroci istinti improntati all'antipolitica stanno via via cedendo spazio a un più razionale sentimento di responsabilità pur nella netta rivendicazione di chiari segnali di rinnovamento, almeno fra i cittadini stessi che comprendono che certe misure "rivoluzionarie" sono a questo punto inevitabili e che il bene comune deve rappresentare finalmente l'orizzonte condiviso da tutti.
Il 17 febbraio prossimo, per uno strano scherzo del destino, cadrà il ventennale dall'esplosione di tangentopoli. Una pagina fosca della nostra vicenda nazionale dalla quale si provò ad uscire anche allora affidando le speranze di salvezza alla competenza del tecnico Ciampi e dei suoi ministri, in una cornice caratterizzata da agitazioni popolari forse ancora più accese delle attuali. In quel caso si protestava contro la diffusa corruzione dei partiti e le presunte connivenze fra Stato e mafia (si era alla vigilia delle stragi di Capaci e di Via d'Amelio), e comunque emergeva una possibile alternativa sul piano politico grazie all'impegno del vasto e trasversale movimento referendario promosso da Mario Segni e dal solito attivismo dei Radicali.
Oggi, al contrario, non si riesce a intravedere nessuna opzione credibile e affidabile in grado di subentrare alla fallimentare seconda repubblica, sorta proprio sulle ceneri dell'esperienza precedente rimossa a furor di popolo, tanto che l'ostilità non si manifesta più verso i partiti come vent'anni fa ma si rivolge alla politica - e quindi al sistema - in senso ampio. E quest'ultima, divenuta negli ultimi lustri una sorta di "partitocrazia senza partiti", assurta agli onori delle cronache più per la propria inettitudine che per le distinzioni ideali e programmatiche, fondata su una rete di contenitori autoreferenziali e spesso personali, priva di reale legittimazione democratica per un sistema elettorale assurdo e capace solo di produrre una pletora di incopetenti manutengoli sostentati dalla collettività, come ha pensato di uniformarsi al gravoso new deal tutto lacrime e sangue? Col tanto invocato taglio delle retribuzioni dei parlamentari? Sì, ma si tratta solo di un'illusione come già molti esperti e commentatori hanno dimostrato e di un provvedimento che peraltro non convince affatto gli elettori.

In teoria, sarebbe appunto una sforbiciata di 1.300 euro lordi mensili (pari a circa 700 euro netti in meno); in realtà, è semplicemente il congelamento (provvisorio o definitivo?) dell'aumento delle indennità di deputati e senatori già stabilito prima dell'avvento del severo Monti. Insomma, una decisione giunta all'ultimo istante utile e modulata sul contestuale provvedimento che prevede - come per tutti gli italiani - il passaggio dal regime pensionistico retributivo a quello contributivo. Misura, quest'ultima, considerato che gli odiosi vitalizi sono parte dell'imponibile a differenza dei contributi previdenziali, che in assenza di modifiche avrebbe avuto come effetto paradossale quello di aumentare la busta paga netta degli eletti (meglio definirli "nominati").
Ecco perchè gli uffici di presidenza di Camera e Senato, probabilmente indotti a ciò anche dalle vivaci polemiche seguite alla pubblicazione dei risultati dell'indagine commissionata dal governo e realizzata dall'Istat qualche settimana fa (la cosiddetta "Commissione Giovannini), che descrive i nostri deputati e senatori come i più pagati in Europa, si sono affrettati a correre ai ripari sbandierando come vere e proprie rinunce dei tagli neanche simbolici ma di fatto solo formali che in sostanza non ridurranno le retribuzioni percepite dagli inquilini del Palazzo. Certo, alla fine il risparmio per le casse dello Stato ci sarà ma consisterà in un blando placebo inadeguato a risolvere alla radice il bubbone dei costi eccessivi della politica italiana. Sarebbe stato molto meglio, se davvero si aveva intenzione di spendere una buona carta dal valore emblematico, intervenire più drasticamente proprio sui vitalizi per eliminarli del tutto invece di limitarsi ad alleggerirli.
Retribuzioni dei deputati europei:

ItaliaFranciaGermaniaSpagnaOlandaBelgioAustria

Stipendio11.2837.1007.6682.8138.5007.3748.160

Diaria3.5033.9841.8231.638

Rimborso trasporti1.131


Retribuzioni dei senatori europei:

ItaliaFranciaSpagnaOlandaBelgioAustria

Vitalizio11.5557.1003.1262.3237.3744.080


Del resto, regalando meno soldi pubblici a un migliaio di allegri buontemponi che indegnamente (o degnamente, fate un po' voi) ci rappresentano in Parlamento, si possono forse appagare gli istinti giustizialisti di qualche indignato ma non si contribuisce a riformare seriamente il sistema politico nel suo complesso. La politica, atavicamente sorda alle sollecitazioni dell'opinione pubblica e puntualmente distratta quando si tratta di dare il buon esempio, va costretta a ripensare il proprio ruolo tanto sul piano sociale quanto su quello istituzionale. Con i partiti che, così come sono ridotti, hanno l'obbligo morale di rifondarsi e di azzerare anche la propria storia più recente in nome di un interesse superiore.
Il primo, vero e tangibile elemento di discontinuità sarebbe quello di rinunciare alle proprie rendite piccole o grandi per supportare efficacemente, senza trucchi e senza inganni, l'arduo tentativo del governo Monti di farci uscire dal tunnel della recessione. In fondo, se siamo a questo punto, è innanzitutto a causa della cattiva politica e di un lungo periodo di immobilismo. Più nello specifico, invece, occorre urgentemente definire nuovi modelli di rappresentanza per rendere daccapo i cittadini protagonisti della nostra imperfetta democrazia e, di pari passo, varare una sorta di codice etico riconosciuto e rispettato da tutte le parti in campo proprio al fine di ridurre il dilagante sentimento di idiosincrasia popolare nei confronti di quella che è considerata a ragione la casta per eccellenza.

In sostanza, si dovrebbe procedere quasi a "liberalizzare" la funzione stessa della politica e dei partiti, aprendoli al contributo spontaneo di chi è pronto a spendersi civicamente solo sulla scorta della condivisione di idee e di valori e precludendo loro, con opportune e adeguate previsioni normative, l'asfissiante occupazione di settori vitali della vita sociale a partire dall'informazione e dalla sanità.
I fatti clamorosi di questi giorni (ma se si guarda a ciò che sta avvenendo ad esempio in Lombardia dovremmo dire "di questi mesi"), che hanno visto tornare alla ribalta tanti casi di corruzione strettamente connessi all'annosa questione del finanziamento ai partiti, la dicono lunga sul rispetto delle regole che vige in questo Paese anche ai più alti livelli istituzionali. A mente lucida, però, si può affermare che nell'ultima vicenda che ha riguardato l'ex tesoriere della Margherita, che ha sottratto 13 milioni di euro al suo partito, non è tanto il risvolto penale a colpire quanto piuttosto la circostanza che un soggetto politico da tempo inesistente continui a percepire risorse pubbliche sotto forma di rimborsi elettorali o di contributi a fondazioni e a giornali a latere.
Naturalmente - benché in modo isolato Bersani e Casini, forse perchè a differenza di altri leader politici magari più idealisti ma meno smaliziati hanno fiutato una nuova ondata giudiziaria esattamente come nel 1992 (pure stavolta saranno coinvolte figure di primo piano che "non potevano non sapere"?), stiano prontamente sollecitando azioni legislative del Parlamento per sanare quest'ennesimo obbrobrio italiano - è scontato attendersi che le segreterie dei partiti avranno molte titubanze dinanzi all'eventualità di non vedersi più riconosciuti i lauti sostentamenti statali finora incassati. Pertanto, pure in questo caso, sarebbe bene che ad intervenire fosse l'attuale governo col suo solito piglio decisionista seppure assolutamente politico. E se quella che si spaccia per "vera politica" osasse ostacolarne l'iniziativa con ricatti o, peggio ancora, facendolo saltare per difendere i propri privilegi ormai indifendibili,  dovrebbe assumersi la responsabilità davanti al Paese che certamente non ne gioverebbe.
Sono anni che attendiamo, magari non tutti ma certamente in tanti, riforme vere che contribuiscano ad abbattere la deleteria influenza della politica sulla spesa pubblica: dal taglio reale delle province all'eliminazione di una delle due camere, per non parlare della consistente riduzione dei consiglieri regionali e della soppressione di enti, autority e analoghe sub-strutture assolutamente inutili e funzionali solo al bisogno dei partiti di piazzare i propri affiliati trombati e recalcitranti. Ma finora, al di là delle promesse da campagna elettorale e dei periodici proclami propagandistici, assolutamente nulla. Figurarsi allora se i nostrani partiti di cartapesta avranno mai il coraggio di mettere mano ai meccanismi di finanziamento della politica! E pure laddove lo faranno, non è infondato ritenere che si tratterà nuovamente di provvedimenti-spot demagogici, sulla falsariga della (presunta) riduzione delle indennità parlamentari.
Di seguito, il peso della politica sulle tasche dei cittadini nell'ultimo triennio:

L'obiezione di alcuni secondo cui "la democrazia ha dei costi" non è più sufficiente a giustificare un andazzo di fatto illegale. Sì, perchè dietro la spinta emotiva scaturita proprio da tangentopoli uno dei referendum del lontano 1993 aveva abrogato il regime del finanziamento pubblico ai partiti i quali, come dimostra l'odierna cronaca, se ne sono tuttavia infischiati continuando a dissipare sotto altre forme le risorse della cosa pubblica. Si pensi proprio all'attuale legislatura: quanti gruppi e sotto-gruppi fasulli sono nati dentro il Parlamento, anche per ragioni di misero trasformismo di singoli deputati e senatori, solo per estorcere soldi allo Stato?
Il finanziamento ai partiti fantasma, usciti di scena da anni ma che sono ancora lì a percepire il contributo al gruppo di riferimento pur non avendo più membri in Parlamento a rappresentare i cittadini, è una vera e propria truffa bipartisan. I casi più eclatanti, oltre alla citata Margherita, riguardano Forza Italia, Alleanza Nazionale e i Ds che addirittura in alcune realtà regionali avevano fino a pochi mesi fa i propri gruppi consiliari regolarmente costituiti, pur essendosi presentati alle elezioni coi nuovi nomi e coi nuovi simboli.
Escamotage reso possibile da un comma (approvato trasversalmente, ça va sans dire) del decreto cosiddetto "mille proroghe" del 2006 che ha consentito, peggiorando i precedenti impianti normativi già dalle maglie molto larghe (la Legge n. 157/1999 e la Legge n. 156/2002), di ottenere il finanziamento pubblico per tutta la legislatura anche in caso della sua interruzione anticipata. In concreto, per menzionare a tal riguardo la fattispecie che ha più dell'incredibile, dopo la crisi politica del 2008 che portò alla caduta del governo Prodi e alle elezioni anticipate quasi tutti i partiti presenti in quel Parlamento hanno continuato a ricevere i finanziamenti pure durante l'attuale legislatura, malgrado in alcuni casi si siano sciolti oppure non abbiano ottenuto rappresentati nelle Camere per il mancato superamento della soglia di sbarramento prevista. Si tratta di un vulnus democratico forse perfino più grave della squallida legge elettorale che ci ritroviamo.
Attenzione, però, perchè la voracità dei partiti non si realizza solo a livello di trasferimenti di denaro sui propri conti correnti (attivi non solo in Italia) da parte dello Stato ma anche per le rendite patrimoniali derivanti dal tesoretto composto da decine e decine di immobili acquisiti da enti pubblici dismessi - secondo una consuetudine comune ai sindacati - e spesso concessi in locazione a studi professionali, ad agenzie finanziarie e a catene commerciali pur mantenendo per legge l'attribuzione di voce di spesa nel bilancio dello Stato. Sarà forse questa la ragione che ha sempre impedito, nelle più recenti manovre finanziarie approvate in tempi di crisi, di inserire una norma che prevedesse la dismissione di gran parte del patrimonio pubblico ormai infruttifero? Senza dimenticare le somme incamerate a titolo di contributi all'editoria - non di rado ingiustificate se si pensa al foglio diretto da Lavitola - che gonfiano ancora di più la bolla.
La voce principale e più anomala rimane comunque quella relativa ai rimborsi elettorali. Prendendo in esame soltanto i contributi erogati alle forze politiche nel corso della seconda repubblica, vale a dire dal 1994 (subito dopo il referendum che abrogò il finanziamento pubblico) alla data delle ultime elezioni politiche svoltesi nel 2008, questo è il quadro che ne risulta così come rilevato pure dalla Corte dei Conti:

   Elezioni   Spese    Contributi    Differenza  

POLITICHE 1994  36.264.124,3446.917.449,3210.653.324,98  

EUROPEE 199415.595.788,6623.458.724,667.862.936,00

REGIONALI 19957.073.555,5229.722.776,0822.649.220,56

POLITICHE 199619.812.285,8446.917.449,3227.105.163,48

EUROPEE 199939.745.844,3986.520.102,5746.774.258,18

REGIONALI 200028.673.945,8785.884.344,6357.210.398,76

POLITICHE 200149.659.354,92476.445.235,88426.785.880,96

EUROPEE 200487.243.219,52246.625.344,75159.382.125,23

REGIONALI 200561.933.854,85208.380.680,00146.446.825,15

POLITICHE 2006122.874.652,73499.645.745,68376.771.092,95

POLITICHE 2008110.127.757,19503.094.380,09392.966.623,71

TOTALE  579.004.383,83  2.253.612.233,79 1.674.607.849,96


E questi sono invece i finanziamenti ricevuti dai singoli partiti o movimenti politici nel decennio 1994/2004 a titolo di rimborsi elettorali (espressi in milioni di euro):
Partito/ Movimento  Rimborso  

Forza Italia   638,2

PD253,1

AN237,2

Pds-ds184,6

L'Ulivo151,9

Uniti nell'Ulivo per l'Europa114,4

Udc113,8

Rifondazione104,9

Lega102,4

Margherita85,1

Idv72,1

Verdi35,3

Ppi33,1

Comunisti Italiani31,1

Pdl22,7


Infine, la tabella dei rimborsi accordati ai partiti per le sole elezioni politiche del 2008:

Nelle more che il severo prof. Monti sculacci e metta in riga, dopo aver castigato i cittadini comuni, anche i riottosi e poco disciplinati parlamentari, è come spesso accade la società civile ad attivarsi proponendo soluzioni di riforma radicale del sistema politico. Un comitato appena costituitosi e presieduto da Elio Veltri, promuove una legge di iniziativa popolare per la riforma dei partiti e il taglio dei costi della politica.
In particolare, essa prevede la piena attuazione dell'art. 49 della Costituzione attivando più scrupolosi meccanismi di controllo della democrazia interna ai soggetti politici, soprattutto in riferimento ai finanziamenti e ai bilanci, e la corresponsione dei rimborsi elettorali vincolata al parere della Corte dei Conti. Ancora, mira a legare la percezione di indennità e vitalizi all'effettivo tempo di svolgimento delle funzioni elettive, che si tratti di parlamentari o di consiglieri regionali. E da ultimo, vuol sottrarre completamente alla politica il potere di nomina dei vertici di aziende partecipate come RAI, ENI, ENEL e Finmeccanica. Un impianto di proposte molto interessanti che merita di essere approfondito, ma che a mio avviso si basa su una netta volontà punitiva sul sentiero pericoloso dell'antipolitica.
L'osservanza delle regole, tutto sommato, si può favorire ricorrendo a percorsi più aperti e flessibili. E' per questo che considero più suggestiva la proposta avanzata di recente dal prof. Massimo Teodori, presidente dell'Associazione Libera Italia e sincero riformista di lungo corso. Questa consiste nella definizione di un sistema di finanziamento misto pubblico-privato, non statalista ma fondato sulle esplicite scelte volontarie dei singoli cittadini o delle persone giuridiche (società, fondazioni, ecc.), stabilendo a monte le soglie massime delle donazioni. Si tratta di una soluzione già sperimentata in molte democrazie occidentali, in primo luogo negli Stati Uniti dove l'elezione dei Presidenti si gioca anche sulla capacità di creare lobby - che non è di per sé un termine disdicevole - e di stimolarle nelle attività di "fund raising".
Secondo Teodori, tale metodo potrebbe incentivare anche nel nostro Paese e pure fra i cittadini meno abbienti le donazioni volontarie ai soggetti politici, a patto che si preveda un meccanismo chiaro di completa deducibilità dalle tasse entro vincoli stabiliti per tenere a freno le velleità dei più facoltosi impedendo loro di condizionare il regolare funzionamento della democrazia. Basterebbe in fondo istituire un registro dei soggetti abilitati a ricevere i finanziamenti e obbligarli per legge a rendicontare i contributi ottenuti. Bisognerebbe poi fissare dei tetti massimi alle spese elettorali, prevedendo rigide sanzioni pure sul piano amministrativo (ad esempio la perdita dei diritti politici) per chi non rispetta le regole.
Per ovviare alla consueta obiezione, specialmente in una realtà come la nostra abituata a non accontentarsi, che una democrazia non può reggersi solo attraverso un sistema volontario-privatistico di donazioni, si potrebbe infine conservare un limitato rimborso elettorale di tipo pubblico in proporzione ai voti effettivamente ottenuti e da effettuarsi direttamente ai soggetti che localmente concorrono alle elezioni.
In definitiva, un metodo misto pubblico-privato avrebbe al contrario l'effetto di rafforzare la trasparenza della democrazia in quanto i finanziamenti volontari dei cittadini al soggetto politico preferito: 1) assicurerebbero pari opportunità di partenza alle forze in campo;  2) scoraggerebbero la nascita sconsiderata di gruppi fasulli ed estemporanei motivati dall'unica ragione sociale di compiere latrocini a danno della collettività; 3) consentirebbero il rispetto delle volontà individuali deprimendo le pulsioni antipolitiche; 4) metterebbero i gruppi d'ogni genere in condizione di sostenere legittimamente e alla luce del sole i partiti, i movimenti e le persone che difendono i loro interessi; 5) solleciterebbero infine i partiti a funzionare secondo regole più trasparenti, sottraendo gli iscritti allo strapotere degli apparati interni che controllano i contributi pubblici.
Un sogno. Solo che l'Italia non è purtroppo una moderna democrazia liberale ma è anzi un Paese profondamente conservatore, dove o non si riesce a cambiare niente o quando si abbozza qualche riforma lo si fa spesso al prezzo di compromessi tanto dolorosi quanto in prospettiva inefficaci. Per questo, senza smettere di sognare, godiamoci fino in fondo la presenza del governo Monti che ha già del miracoloso.
Il commento del prof. Gianfranco Pasquino, firmatario proprio del manifesto dell'Associazione Libera Italia promosso da Massimo Teodori, agli ultimi fatti di corruzione che hanno investito la politica:

Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :