Non condivido la pressochè unanime solidarietà espressa dalla Casta stampata nei confronti di Alessandro Sallusti.
Non fa parte della libertà di pensiero e d’opinione la virulenta alterazione ideologica della realtà, senza che sia data occasione alla parte lesa, vilipesa e sfregiata di godere di un adeguato diritto di replica.
Condivido l’opinione corrente secondo cui il ricorso alla pena detentiva è sproporzionato.
Ferma restando, perciò, la necessità di cancellare norme di matrice ed eredità fascista non si può, in nome di una necessaria e condivisa riforma, santificare un comportamento scorretto e mistificatorio.
La tanto invocata libertà non è un diritto assoluto, né un lasciapassare assolutorio, soprattutto laddove si traduce in libertà d’insulto e di calunnia.
La libertà ha – ci piaccia o meno – alcuni confini da rispettare e non deve mai ledere quella altrui.
Certo, Sallusti, in questa vicenda, non è il diretto responsabile: non è Farina del suo sacco. Ma è pur vero che il suo giornale ha – da tempo – adottato come impronta del suo ‘fare giornalismo’ l’arma contundente del dileggio e dell’alterazione della realtà, della notizia brandita a mo’ di randello sul nemico, dei titoli urlati a piena pagina.
Inutile qui rimestare il guano quotidiano che ha caratterizzato l’animosità di certe parole crociate che, sovente, non hanno neppure concesso diritto di replica o non si sono fatte carico di altrettanta, adeguata e doverosa solenne rettifica.
Capita di sbagliare e, all’indomani di un errore di cui si è direttamente o indirettamente responsabili, occorre, come minimo, chiedere scusa.
La Cassazione, nello specifico, ha chiarito che la notizia pubblicata dal quotidiano era falsa. Senza mezzi termini. Un’orribile bugia.
La giovane non era stata affatto costretta ad abortire e l’intervento del giudice si era reso necessario perché, pur presente il consenso della madre, mancava quello del padre a cui, per contrasti nei rapporti familiari, non era stata comunicata la decisione presa.
Inoltre, sempre la Cassazione, ha evidenziato che il giorno precedente alla pubblicazione dell’articolo incriminato, quattro dispacci dell’Agenzia Ansa, il Tg3 regionale e il radiogiornale, avevano chiarito i termini di quella vicenda, fugando qualsiasi possibile e malintenzionato equivoco.
Tutti i giornali avevano ripreso l’episodio senza quella carica rabbiosa e quei toni catto-Khameinisti.
Tant’è vero che, per esempio, su “La Stampa” veniva intervistata la senatrice Binetti che, pur esprimendo il suo punto di vista (condivisibile o meno), aveva dimostrato la necessaria maggior cautela.
Solo Libero travisava e manipolava la notizia su una storia dolorosa e che riguardava la vita privata di una bambina e di tutta una famiglia.
Una vicenda che portava con sé l’obbligo di esprimersi con tutta la delicatezza del caso. O, se vogliamo, che avrebbe potuto rappresentare una di quelle buone, utili e rare occasioni per tacere e rispettare il dolore altrui, senza ulteriori sfregi.
Ecco perché tutta la mia comprensione e solidarietà va al dramma umano di un’intera famiglia, d’una figlia, d’un medico e di un giudice che, come appare chiaro, hanno agito non senza dolore.
Il dolore altrui merita rispetto perché, forse, quando non ci coinvolge e non ci appartiene, non siamo in grado di comprenderlo sino in fondo.
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