La barriera di emozioni, parole, contatto, relazione che chi soffre di questa crudele malattia non può evitare di frapporre fra se stesso e il mondo.
Gli autistici vivono in un guscio spesso e coriaceo, scoprire cosa ci sia dentro e trovare le modalità per incrinarlo è l’ardua impresa, spesso disperata, sovente frustrante, che devono affrontare le persone vicine, chi li ama, chi li ha messi al mondo o chi con loro si trova a dover dividere il cammino, lo spazio e il tempo di vita.
E quando a doversi scontrare con un compito tanto più grande di sè è un bambino, sensibile e dolcissimo fratello minore di una ragazzina autistica, può scaturire un universo. Di dolore, sì, ma anche di risorse, di amore, di tenere ma forti verità, di tenacia, di empatia e di tutti quei sentimenti e quelle emozioni che fanno comprendere che seppure l’autistico rifiuti e non sappia gestire il legame, si ritrova comunque all’interno di nodi forti che, in maniera diversa ma comunque reale, lo tengono e lo saldano ai suoi affetti.
“Castelli di fiammiferi” di Bettina Obrecht, edito da Uovonero – casa editrice attenta nei confronti dei temi della diversità e particolarmente focalizzata sull’autismo, con pubblicazioni dedicate ai ragazzi ma anche manualistica e testi per adulti – è un libro coraggioso e delicato.
Coraggioso perchè non teme di evidenziare ombre e luci di una famiglia che deve fare i conti con un disturbo difficile e scuro, nei confronti del quale i gesti cadono nel vuoto e non ci sono ritorni nè gratificazioni.
E’ un racconto che, pur parlando di affettività profonda, non tace sulla fatica, sulla stanchezza, sul desiderio di fuggire, sulle scelte dure che a volte si arriva a prendere per non crollare. Non chiude gli occhi sull’effetto destabilizzante che una tale realtà esercita, facendo vacillare certezze, insinuando paure di perdita, mettendo alla prova legami.
Ma delicato anche, e tenero e deliziosamente surreale, perchè il tutto è visto attraverso gli occhi di Jan, rielaborato dalla sua fantasia, affidato alla sua profondissima sensibilità, modellato dalla sua premura e trasformato dalla sua impeccabile saggezza.
Jan è un bambino in età di scuole elementari e, a differenza di sua sorella Lisa – che dimora in un mondo chiuso e impermeabile senza parlare mai – è circondato dalle parole. Fluttua ancora in quel periodo magico dell’infanzia dove tutto pare dialogare di continuo: dai giocattoli agli oggetti, dal pappagallo domestico all’orsetto di peluche.
Jan vive accerchiato da correnti che si toccano, da cose o persone che interagiscono, magari solo nella sua fantasia ma di fatto reali e vicine.
Forse una reazione alla situazione familiare, dove una sorella autistica non costituisce la migliore compagna di giochi possibile, una mamma affaticata e disperata non risulta l’appiglio affettivo più sicuro e un padre spesso fuori casa per lavoro non appare la presenza più stabile.
Il ragazzino si confida con i suoi amici immaginari e con quelli reali – due gemelli che gli offrono un modello di fratellanza opposto a quello che sperimenta lui – si avvicina come può a Lisa, rispettandone con incredibile maturità tempi e modi, si preoccupa per la mamma temendo che la difficoltà della situazione la porti a scappare lontano.
E’ inoltre convinto di sapere esattamente cosa aiuterebbe la sorella e cosa lei desidera nel profondo del suo silenzio, sebbene nessuno paia disposto ad ascoltarlo…
Un clima non facile quindi, dal quale evadere per una vacanza dai nonni, due belle figure amorevoli e leggermente eccentriche. Il nonno per di più è un artista e crea incredibili strutture di fiammiferi ripoducendo grandi monumenti internazionali e castelli.
E proprio quando tutto sembra perduto, quando le decisioni più dolorose paiono oramai prese, saranno degli oggetti piccoli e insignificanti come i fiammiferi – allo stesso tempo pericolosi e fragili – a incrinare, seppure di poco, il muro invalicabile di Lisa e del suo universo, aprendo un piccolo spiraglio entro cui un briciolo di speranza e un futuro più morbido e accettabile possano passare.
Nessun finale miracoloso, niente scenari finti e irrealistici, soltanto un paesaggio meno scuro, qualche sorriso in più e, finalmente, uno spazio più ampio per Jan e la sua voce.
Un piccolo romanzo prezioso, nel quale i riflettori non si puntano, come di solito accade, soltanto sul malato, ma, pur non tralasciandolo, si spostano sulle persone vicine, sui loro sentimenti, sulle crepe dei loro animi.
Ma anche sulle risorse che esse possono costituire, sui legami che nonostante tutto creano, sul respiro di cui giustamente anche loro necessitano.
Anche Jan, al pari di Lisa, ha avuto bisogno di costruirsi un nido chiuso per sfuggire, fatto di fantasia e di personaggi immaginari. E, al pari di Lisa, anche il nido di Jan si può aprire solo nell’amore e nella possibilità di essere visto, secondo le sue necessità.
Con un linguaggio semplice e uno sguardo vivo e attentissimo, in poche pagine Bettina Obrecht ci fornisce una molteplicità di spunti su cui riflettere che non si limitano ai contesti dove è presente la disabilità ma investono con energia tutti i nostri sistemi, le nostre solitudini, le nostre difficoltà. Un libro per tutti: adulti e ragazzi, genitori e figli.
(età consigliata: dai 10 anni)
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