La sede dei principi vescovi
Con Bernardo Clesio, vescovo ma soprattutto principe
illuminato, Trento si avviò a diventare una città rinascimentale.
I lavori di trasformazione e di abbellimento del suo castello segnano le tappe di questo cammino
I vescovi di Trento, la cui carica comportava anche il potere di principi della città, ebbero almeno tre sedi ben caratterizzate: il Castelletto, il Castelvecchio e il Magno Palazzo. Il primo era un .palazzotto sufficientemente difeso, a ridosso del Duomo, il secondo un castello vero e proprio, il terzo la dimora rinascimentale di un vescovo, a che prima di essere prelato era signore, principe di una città posta in un luogo privilegiato, sulla strada che collegava il Sacro Romano Impero germanico con l'Italia e con Roma, dalla quale esso traeva la prestigiosa conferma della propria autorità. La prima sede vescovile fu il Castelletto, elevato sopra le due chiese di San Giovanni Battista e di San Biagio e voluto nel 1220 da Federico Vanga, uno dei vari principi vescovi che da Udalrico II (1024) al XIX secolo ressero la diocesi di Trento.
Queste considerazioni pratiche e politiche portarono alla costruzione di Castelvecchio, primo nucleo del Castello del Buonconsiglio. D'altra parte, va tenuto presente che la via di fuga verso il Nord era quanto di più logico, perché Trento fu, nei secoli, asempre più legata al mondo tedesco che a quello italiano, pur appartenendo geograficamente alla Penisola. Non per nulla, ancora alla metà del Settecento si scriveva, nei trattati di storia universale, che il territorio di Trento era "spesso annoverato tra le parti d'Italia; tuttavia, essendo il suo Vescovo uno de' Principi dell'Imperio, viene dai Tedeschi considerato come porzione del Circolo (cioè del territorio) d'Austria".
Castello del Buonconsiglio a Trento. L'edificio merlato di Castelvecchio. dominato dalla Torre Grande, costituisce la parte più antica (XIII secolo) di tutto il complesso. Al centro, più avanzato, compare il Magno Palazzo, costruito nel Rinascimento dal vescovo Clesio. I fabbricati che legano questi due edifici costituiscono la Giunta Albertiana. secentesca. In basso,a all'estrema destra, la Torre dell'Aquila conclude una lunga ala prospiciente il giardino. Sul davanti, corre la cortina muraria desiano, dove si trova l'ingresso al castello, accanto al torrione cilindrico in primo piano.Clesio, un vescovo illuminato
Il Castello del Buonconsiglio si compone di parti diverse e massicce, legate fra loro, nel corso dei secoli, dagli eventi e dalla volontà di singoli personaggi di spicco. Castelvecchio. edificato a ridosso delle antiche mura cittadine, già si chiamava in antico Castrum Boniconsilii, secondo documenti del 1276 e comprendeva anche la zona adella grande torre circolare, che la tradizione vuole far risalire, come primitiva costruzione, all'epoca romana (è detta, infatti, Torre di Augusto) e che domina tuttora sulle altre costruzioni castellane.
Castelvecchio fu costruito da Sodegerio da Tits, podestà imperiale di Trento soggetto al terribile Ezzelino da Romano, allora il più potente signore dell'Alta Italia, con lavori effettuati fra il 1239 e il 1255, anno in cui se ne impossessò il vescovo Egnone da Appiano. Il castello sarà designato come "vecchio" allorché il vescovo Clesio costruirà il nuovo palazzo.
In questi tre secoli di intervallo, vanno ricordati i lavori eseguiti dal vescovo Giovanni Hinderbach (1475), consistenti in modifiche e ricostruzioni ain pietra di parti dell'edificio che erano prima di legno. Bernardo Clesio è conosciuto anche come Bernardo di Cles, la località in cui nacque
nel 1485. Cancelliere del futuro imperatore Ferdinando I e poi vescovo di Trento, egli fu soprattutto un uomo colto del suo tempo, un umanista e letterato di valore, stimato dagli uomini di cultura a lui contemporanei, fautore, tra l'altro, di quel Concilio di Trento (1545-63) che segnerà una svolta nella storia della Chiesa.
Clesio era arrivato a Trento nel 1514, primo titolare locale di una diocesi che aveva sempre avuto prelati stranieri, tedeschi o austriaci, come depositari adel titolo vescovile.
Oltre a essersi rivelato un vescovo notevole, è da considerare il personaggio di maggiore spicco in tutta la storia di Trento, che per merito suo uscì dagli schemi medievali, cui era fortemente legata, per trasformarsi in città rinascimentale.
Fatto cardinale nel 1530 da papa Clemente VII a Bologna, in occasione dell'incoronazione dell'imperatore Carlo V, nel 1539 ottenne anche l'amministrazione del principato vescovile di Bressanone, dove però mori, per un attacco apoplettico, il 28 luglio dello stesso anno. Il tocco più importante della sua attivissima mano è riscontrabile proprio nel Magno Palazzo, che avrebbe dovuto essere una dimora adatta per ospitare re e imperatori di passaggio lungo la via del Brennero.
A partire dal 1527, egli demolì le mura castellane verso la città, per costruire una residenza nobile e fastosi appunto il Magno Palazzo, con nuove amura di protezione, quelle che vanno dalle fortificazioni antiche, allora comprendenti anche la Torre Verde (posta oltre l'estremità nord del castello), alla porta detta "dell'Aquila". A fianco di questa porta, leva una torre quadrata, detta anch'essa "dell'Aquila". Nel suo austero aspetto racchiude un piccolo tesoro: una serie d affreschi quattrocenteschi, interessanti documentazione sulla vita dell'epoca.
giardinieri fecero del loro meglio per accontentare l'illustre committente tagliando le siepi di bosso secondo forme curiose, che nel 1547 destarono stupore dei cronisti per la loro varietà. Delle molte statue di Giacomo Eberle, che un tempo ornavano il giardino, si è perduta la traccia.
ANTICO DOCUMENTO DI TRENTO ROMANA - Fra i reperti archeologici conservati nel castello, la Tavola Clesiana è uno dei più interessanti. Si tratta di una lastra di bronzo, che reca inciso aun editto dell'imperatore Claudio promulgato nel 46 d.C. e fu trovata a Cles nel 1869. La tavola concede la cittadinanza romana, ambitissimo onore a quel tempo, ai valligiani della Valle di Non, oltre ad altri popoli detti Tuliassi e Sinduni, non meglio identificati.
Anticamente la Torre dell'Aquila faceva parte delle difese della porta cittadina nelle mura di Trento. Fu il vescovo Giorgio Liechtenstein (1390-1419) a volerla ampliare e decorare con gli affreschi che l'hanno resa famosa, eseguiti verso il 1414 sulle pareti adel piano di mezzo della torre. Essi raffigurano le allegorie dei dodici mesi e dei lavori che vi si svolgono tradizionalmente.
L'artista che esegui gli affreschi è ignoto, ma alcuni particolari dei dipinti, come le cicogne sui tetti, l'uso di arare il campo con il cavallo invece che con i buoi, l'uva prevalentemente bianca nei vigneti, fanno pensare a un pittore di esperienza di vita quotidiana ambientata nel Nord, probabilmente tedesco, o boemo, se si volesse accettare il nome di un Venceslao che esegui altri affreschi nello stesso stile a Rifiano, vicino a Merano.
UN GRANDE SACRIFICIO PER RIPORTARE TRENTO ALL'ITALIA
Dal Cortile dei Leoni, si può scendere in quella che. visitando il Castello del Buonconsiglio, è indicata come Fossa dei Martiri. Già nel 1848, aessa era stata testimone di un fatto tragico: la fucilazione di ventun combattenti lombardi, catturati dagli Austriaci e portati a Trento per essere sommariamente giustiziati. Solo nel 1867 essi ebbero degna sepoltura in una tomba di famiglia trentina. Poi, anche soldati austriaci vi avevano trovato la morte. Tuttavia, l'episodio più significativo per l'Italia si svolse nel 1916, allorché i patrioti Cesare Battisti. Fabio Filzi e Damiano Chiesa vennero qui sacrificati, ponendo col loro sangue le fondamenta della costruzione di una unità nazionale da troppo tempo attesa. Chiesa ebbe la condanna commutata da impiccagione a fucilazione. aBattisti e Filzi vennero impiccati nel modo più barbaro il 12 luglio. La tradizione voleva che, se la corda si fosse spezzata al momento dell'esecuzione, il condannato avrebbe avuto salva la vita. Ciò accadde per Battisti, ma il tragico rituale venne ripreso senza alcuno scrupolo.
TRENTO SI ITALIANIZZA NELL'ARTE
Dopo secoli di influssi tedeschi nella pittura e nelle arti trentine in generale, l'arrivo di Bernardo Clesio segnò una svolta verso la italianizzazione adella città in senso rinascimentale e anche una nascosta, ma sensibile, svolta antiluterana, con l'esaltazione della sede vescovile cattolica a opera dei migliori pittori, se non del tempo, almeno disponibili a quel tempo.
Per primi giunsero da Ferrara i fratelli Luteri, Battista e Giovanni, quest'ultimo detto Dosso Dossi da Ferrara, per cui i due comunemente venivano chiamati i Dossi. Erano arrivati senza entusiasmo, poco attirati da un lungo soggiorno nella remota città del nord,a tanto più che avevano a Ferrara lavoro e famiglia e Giovanni risentiva del clima freddo e della mancanza delle sue amicizie. Ma il vescovo Clesio aveva chiesto i buoni uffici del duca di Ferrara e gli ordini non si potevano discutere oltre un certo limite. Dosso Dossi lavorò, dunque, a Trento e si occupò della decorazione di diciassette fra sale e salette, sovrintendendo all'opera di una schiera di lavoranti e intervenendo di sua mano dove necessario, ma il tutto con tempi di esecuzione cosi rapidi che il vescovo Clesio si dovette preoccupare della bontà dei prodotti che quella fretta avrebbe dato. Il pittore voleva tornarsene a Ferrara e nella stagione fredda, per evitare inconvenienti con l'intonaco fresco, che non si sarebbe ben asciugato, ricorse a tecniche diverse dal tradizionale affresco,a impiegando a volte la tempera, a volte colori a olio.
Aveva ragione il Clesio di temere che le pitture si guastassero, cosa che infatti avvenne. Buona parte dell'opera trentina dì Dosso deperì rapidamente e dovette essere sottoposta a restauri. La sua opera più interessante sembra essere la Sala degli Stucchi, amalconcia anche se restaurata, decorata da affreschi incorniciati da ricchissimi stucchi, raffiguranti filosofi e, in chiave allegorica, le arti o discipline cui si dedicarono: Gorgia e la Retorica, Pitagora e l'Aritmetica, Archimede e la Geometria, e cosi via di questo passo, oltre agli stemmi del Clesio come vescovo e come cardinale e alla data di esecuzione del ciclo decorativo (1532). Nei medaglioni delle lunette sono, invece, dipinti a chiaroscuro imperatori romani (quattordici ritratti da Cesare ad Adriano) e, negli angoli, la Fortezza, la Temperanza, la Giustizia e la Prudenza. Solo i chiaroscuri vennero realizzati in vero affresco, e sono la parte meglio conservata della sciagurata opera frettolosa di Dosso. Nella Sala Grande, l’artista e i suoi aiuti ornarono i ventidue scomparti del fregio con agruppi di putti, tutti diversificati di scena in scena. La fretta c'era, ma la fantasia non faceva difetto. Alcuni ambienti furono rovinati dalle vicende storiche, oltre che dalla "mala esecuzione" degli affreschi. È il caso della camera che sta sopra la cappella: la sala venne, in epoca successiva, destinata a cucina per la soldataglia e divisa nell'Ottocento in due stanze distinte, con conseguente strage del soffitto a cassettoni e del fregio, solo parzialmente recuperati durante i restauri.
Sulla scia di Dosso Dossi, ecco arrivare da Brescia Gerolamo da Romano, detto il Romanino, pittore di buona fama, spesso trascurato dagli studiosi, che lo considerano un seguace di molte correnti del suo tempo. E vero che le sue opere risentono di tutta la pittura veneta, da Bellini al Tintoretto, in un arco di mezzo secolo, ma la sua sanguigna vena pittorica, a volte popolaresca, ha una vitalità sorprendente, che si può cogliere anche nelle sue apitture in Buonconsiglio, se pure deteriorate dal tempo. Il Romanino dovette arrivare a Trento nella primavera del 1531 e solo da giugno risulta nei libri di conti amministrativi del vescovo Clesio.
Dipinse nella Loggia Grande, nello scalone, nella Sala degli Imperatori, in quella delle Udienze, dove ha lasciato un impressionante ritratto del Clesio, allora già cardinale, in cui il prelato appare autoritario e con un volto carnoso e sanguigno.
Il prelato morirà non molto tempo dopo, proprio nel corso del solenne banchetto dato per celebrare la sua entrata in Bressanone (1539), di cui aveva ottenuto il vescovado insieme con quello di Trento.
Figure minori sul piano pittorico, ma non su quello politico, furono Marcello e Matteo Fogolino, di origine friulana. Di Matteo vi sono poche tracce, essendo noto solo attraverso documenti. Famoso, invece. Marcello, che era stato bandito dal territorio veneto il 25 gennaio 1527 per aver ammazzato un barbiere.
Il terribile Consiglio dei Dieci volle liberarsi di entrambi i fratelli e diede loro un lasciapassare per migrare in terre meno pericolose, ricevendone in cambio attente e accurate relazioni di spionaggio, che non vennero mai pagate in denaro sonante, ma con altri salvacondotti. aLe spese le pagava, invece. il Clesio, che cosi manteneva di sua tasca le spie di Venezia.
I Fogolino lavorarono al fregio del cortile, nel refettorio, nel cortile di Castelvecchio.
- Per maggiori informazioni : http://www.buonconsiglio.it/
- Dove mangiare e dormire : http://www.comune.trento.it/Aree-tematiche/Turismo/Accoglienza/Dove-mangiare
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