Vedendo «Che tempo che fa» tutti avevano capito che il ministero dell’Economia vede di buon occhio una privatizzazione parziale della Rai... «Ripeto, credo sia una forzatura. Le cose non stanno così».
E come allora? «Personalmente non mi sono mai espresso in favore della privatizzazione e comunque non siamo in presenza di alcun piano di vendita anche perché la Rai è sottoposta ad un contratto di servizio. La legge Gasparri tecnicamente prevedeva questa possibilità ma ora sarebbe intempestivo parlare di privatizzazione a due anni dalla scadenza della concessione Rai, il 6 maggio 2016, che andrà rinnovata. Infine, non è un tema che possa essere affrontato dal governo ma semmai dal Parlamento anche perché sarebbe, semmai, necessario rivedere la governance. La mia idea è che, soprattutto in questo momento, non ci sia nessuno migliore della Rai, pur con le sue inefficienze, che possa garantire il servizio pubblico».
Perché? «Il contratto di servizio che stiamo portando avanti prevede nuove mansioni e sacrifici per la Tv pubblica. La Rai deve diventare uno strumento nell’attuazione dell’Agenda digitale, contribuire alla diffusione della cultura digitale nel Paese. Le chiediamo un sacrificio: vietando la pubblicità nel programma dei bambini in età prescolare. Basterebbero queste due cose per dire che la Rai deve restare pubblica. Ma ce ne sono altre».
Quali? «La Rai deve offrire nella sua globalità una programmazione di servizio pubblico. Chiediamo, è vero, un "bollino" che renda riconoscibili e valorizzi i programmi finanziati con il canone. Ma la logica non è quella di diversificare tra programmi a carattere pubblico ed altri a carattere privato. Non è così, tanto che Tg e il canale All news sono fuori dal bollino. Vogliamo invece chiarezza e trasparenza per consentire a chi paga il canone di controllare come vengono spesi i suoi soldi. Se c’è una verifica pubblica su come viene speso il canone il governo ha una legittimazione in più per colpire gli evasori. Non ha senso poi la polemica sulla consultazione pubblica per il rinnovo della concessione».
Anche questa è stata vista come un’apertura verso l’ingresso dei privati... «In Inghilterra ci sono voluti tre anni di consultazioni prima che il Royal Charter Act definisse i nuovi criteri della concessione per la Bbc. Noi vorremmo, in circa due anni, dare al Parlamento tutti gli elementi e le informazioni per potere rinnovare quella della Rai. Senza rinnovo si rischia il caos perché la Corte dei Conti bloccherà l’entrata del canone nei bilanci di Viale Mazzini. Certo, si potrà anche decidere per una proroga, ma almeno con la consapevolezza di quel che pensa l’Italia intera sulla missione del servizio pubblico radiotelevisivo. E di sicuro non lo si può fare con un "milleproroghe", su una materia così importante deve muoversi il Parlamento».
E la governance? Si può parlare di una Rai moderna ma perennemente sotto la pressione dei partiti? «Una prima riforma l’abbiamo fatta con il governo Monti: il Cda ora può intervenire solo quando ci sono scelte editoriali. Sulle altre decidono presidente e direttore generale e non mi pare che Anna Maria Tarantola e Luigi Gubitosi manchino di indipendenza dalla politica. Di più. in quel momento, non si poteva fare. Ora lavoriamo per rafforzare la Rai e migliorare il rapporto con i cittadini».
Intervista di Barbara Corrao per "Il Messaggero"