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Il potere della sottrazione. (4,9 stelle) - Ho scoperto questo autore grazie ai consigli dell’attrice Paola Minaccioni, la quale ne ha parlato nel bellissimo programma Bookshow 2013 di SkyArte. L’attrice ha consigliato questo libro mentre ci mostrava angoli periferici di Roma, scarni, normali, anche brutti ammettiamolo. E non è stata casuale questa associazione.
Leggere i racconti di Carver è come stare in periferia.
E’ come passare in treno tra molte vite, vederne un pezzetto e proseguire, senza intervenire, senza avere certezze o risoluzioni di sorta, semplici spettatori di vite comuni dove il dramma è talmente normale che non ci si scompone nemmeno troppo.
Anche il modo di scrivere di Carver lo considererei “periferico”, essenziale, senza nessun tipo di orpello o di frase ad effetto, monotono e senza sussulti, e, quasi per effetto contrario, questa nudità formale ci arriva dentro con grandissima precisione.
Nel caso di questo scrittore la bravura sta proprio qui, nel riuscire a farti vivere certe emozioni in modo intenso ma per sottrazione, togliendo le parole in più, togliendo tutto ciò che è superfluo, dando vita ad una scrittura davvero ridotta all’osso che paradossalmente coinvolge.
E’ buffo notare come le cose a volte si incastrino perfettamente.
Nel periodo in cui ho iniziato a dipingere la realtà più basilare intorno a me, quella meno enfatica, mi ritrovo a vedere in Tv una persona che mi porta nella periferia romana e mi consiglia un libro di Carver che effettivamente di enfatico non ha nulla.
Oserei dire che il caso non fa le cose a caso.
Ma veniamo ai racconti, sono 12, non tutti allo stesso livello, anche se ne basterebbero soltanto due o tre per poter affermare che nel suo insieme questo libro è un capolavoro. Su tutti aleggia una cappa di pesantezza, spesso frustrazione, le stesse sensazioni che si respirano in questo periodo di “crisi economica mondiale” e che li rendono attualissimi, le persone di cui si parla potrebbero essere il vicino di pianerottolo o il collega di lavoro, per chi ancora il lavoro ce l’ha.
Si affronta il tema del cambiamento talvolta inaspettato, della perdita della speranza e della dignità, dell’alcolismo, dei rapporti di coppia e con i figli, del dramma della perdita, dell’abitudine a vivere una vita tenuta a freno, del pregiudizio...
In queste storie dove apparentemente succede pochissimo si trovano tante di quelle “cose” che elencarle sarebbe comunque riduttivo. Non succede niente e succede tutto allo stesso tempo, nella monotonia del racconto apparentemente piatto e insignificante si nascondono drammi raccontati con distacco, con occhio apparentemente indifferente, e forse esaltati ancora di più proprio per questo.
Questi racconti sono un macigno che bisogna essere disposti a sopportare, un macigno opprimente che ti lascia addosso un disagio indefinibile.
Il mio racconto preferito in assoluto è “Una piccola, buona cosa” dove il dramma viene affrontato con un tono monocorda, una ripetitività di gesti, niente effetto sensazionale, niente clamore. Tutto ciò rende la tragedia ancora più forte. Più Carver scrive sottotono e più ci trasmette l’ansia, la drammaticità.
Anche “Cattedrale” però è molto intenso, un racconto che a parer mio ci mostra come talvolta il pregiudizio sia effettivamente un pregiudizio, come spesso siamo infastiditi o impauriti da ciò che non si conosce ma che nel momento in cui ci rendiamo disponibili questo qualcosa diventa quasi un luogo in cui voler restare.
Come ho già detto la scrittura non marcia su un effetto sensazionalistico per cui poco si presta anche alle citazioni, tuttavia mi fa piacere riportare alcuni passi che ho apprezzato in modo particolare.
Citazioni:
“Quella serata in casa di Bud e di Olla fu speciale. Lo capii che era speciale. Quella sera mi sentii a posto quasi con tutte le cose della mia vita.” cit. da “Penne”
“«Non posso lasciarlo qui, no.» Si sentì pronunciare queste parole e pensò quanto ingiusto fosse che le uniche a venirle fuori fossero quelle adoperate nei telefilm quando la gente è sconvolta da morti violente o improvvise. Voleva che le parole fossero soltanto sue.” cit. da “Una piccola, buona cosa”
“Ma capiva che era finita, e si sentì in grado di lasciarla andar via. Era sicuro che la loro vita insieme era successa così come l’aveva raccontata, ma era qualcosa che non c’era più. E quel non esserci più - anche se gli era parso impossibile e contro cui aveva lottato - ora sarebbe divenuto una parte di lui, altrettanto concretamente di qualsiasi altra cosa che si era lasciato alle spalle.” cit. da “Febbre”
“Morì in una stanza d’ospedale a Seattle, con il cieco che le sedeva accanto tenendole la mano. Si erano sposati, avevano vissuto e lavorato insieme, avevano dormito insieme - sesso compreso, naturalmente - e poi il cieco aveva dovuto seppellirla. E tutto questo senza che avesse mai saputo che aspetto quell’accidenti di donna avesse.” cit. da “Cattedrale”
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