Forse qualcuno di voi è portato a pensare che quello che si dimostra d’essere nel mondo del lavoro non ha nulla a che spartire con quello che dimostriamo d’essere nella vita privata.
Io ritengo che questa opinione è falsa e profondamente scorretta. Non esistono affatto forme di compensazione tra le due sfere; o le due parti della persona, privata e pubblica, funzionano, o non funziona nulla. Questo può sembrare di primo acchito uno svantaggio, ma semmai dimostra soltanto che l’essere è un unicum e non uno sdoppiato, che la persona è un composto armonioso e non schizofrenico.
Tutto quello che si è nella vita privata in qualche modo lo si trasmette nell’ambiente lavorativo.
Ci sono così persone che non si spiega in apparenza (a detta di chi li osserva) perché sul lavoro risultano essere efficienti e competenti mentre nella vita privata non riescono a mettere insieme una straccio di relazione che possa avere un minimo di stabilità e di consistenza.
Questa contraddizione è a mio avviso appunto solo apparente; se indaghiamo più a fondo si può scoprire o che questa persona/e semplicemente non ha avuto la fortuna o il destino di riuscire a trovare una realizzazione familiare normale, o che la sua efficienza lavorativa è solo apparente e non concreta, oppure infine il suo insuccesso lavorativo è altrettanto solo di facciata.
Lo stesso dicasi per quelle che hanno una vita lavorativa apparentemente disastrosa ma una vita privata piena di soddisfazioni e di successi.
Spesso dietro una vita lavorativa piena di mediocrità e di conquiste assai modeste si nasconde una scelta ben precisa che non contempla una carriera professionale per lasciare tutto lo spazio (o quasi tutto) alla sfera privata che infatti se ne giova in maniera visibile.
Poi ci sono quelli che indubbiamente hanno una vita personale disastrosa così come una vita lavorativa non positiva- e sono proprio quelli che confermano pienamente la detta teoria.
Un uomo felice in casa è felice anche sul lavoro. E viceversa.
Non sto dicendo che siccome si raccolgono successi privati automaticamente si debbano anche raccogliere successi professionali. Il successo professionale non è calcolabile solo dalla cifra stipendiale o dalla notorietà raggiunta nel proprio campo; esso è calcolabile da un insieme vario di fattori tra cui si include la capacità di sapere coltivare buoni rapporti con i colleghi.
Dettaglio non di secondaria importanza, che spesso invece viene ignorato e sottovalutato.
In altre parole, se chiedete ai membri di un’azienda come si sentono realizzati all’interno del loro ufficio, stupirà sentire le risposte più inattese; quelli che magari guadagnano di più od occupano un ruolo di maggiore responsabilità vi potranno rispondere che non ce la fanno più e che cambierebbero volentieri lavoro. E viceversa.
La risposta infatti è data dalla propria percezione del lavoro e non dal lavoro in sé; chi sa di comportarsi male in ufficio, chi sa di svolgere il ruolo del ruffiano dei capi, chi sa di morire d’invidia dietro ai successi vari dei colleghi, non è certo pronto ad ammettere le proprie colpe, le proprie responsabilità.
Però occorre che essi sappiano che sono solo delle nullità viventi.
Solo apparentemente nella vita lavorativa raccolgono consensi e lodi…al massimo sono invece solo oggetti che vengono usati da chi sa di poterlo fare e che si lasciano usare perché sono totalmente privi della più elementare stima di sé…questa è la verità da dirsi.
Anche Eichmann era un impiegato modello, eppure ha contribuito a mandare a morire migliaia di ebrei come fossero stati vecchi fascicoli da archiviare per sempre nei forni crematori. Il suo successo lavorativo era solo apparente. La sua vita privata era un vero fallimento…
Tutti questi individui sono i cattivi colleghi, siano essi impiegati piuttosto che insegnanti piuttosto che professionisti…il marcio è ovunque, non è solo nella classe impiegatizia; anzi, bene o male i danni che può arrecare un impiegato al suo prossimo è contenuto, a ben vedere, mentre il danno che può fare un cattivo insegnante o un cattivo professionista non ha davvero piccole conseguenze…
Mi rivolgo a tutte le mezze cartucce d’umanità che si credono arrivate, che si credono insostituibili, che si credono migliori, che si dilettano a parlare male del loro prossimo dal quale oltretutto non hanno mai ricevuto torto alcuno ma solo delle buone parole, che sperano sempre di potere vedere il collega inciampare…sappiano queste mezze seghe che sono solo letame per i porci e che le loro capacità lavorative per quanto lodevoli sono solo spazzatura esattamente come i loro cuori ed i loro cervelli sono solo sporcizia immonda destinata al macero, esattamente come le migliaia di ebrei mandati senza nessuna vergogna, senza nessuna scusante, da persone come loro ad ingrassare i campi.
E quando dico ebrei intendo dire in senso alto anche i diversi, le minoranze, le persone non protette, gli svantaggiati, qualunque genere d’umanità si debba trovare per semplice sorte nella metà di mondo non desiderato.