Questi sono i fatti così come li riporta il quotidiano britannico The Guardian. Un uomo pakistano di cinquantacinque anni – la cui identità non è stata rivelata – viene mantenuto in vita artificialmente al Pennine Acute Hospitals dopo aver subito gravi danni cerebrali.
L’ospedale è stato autorizzato dal tribunale a sospendere i trattamenti che mantengono in vita l’uomo nel caso in cui le sue condizioni peggiorino.
Il giudice Moyan ha infatti stabilito che in caso contrario avrebbe significato prolungare la morte del paziente e non prolungare la sua vita in modo significativo.
Secondo il giudice un eventuale intervento a seguito di un successivo arresto cardiaco provocherebbe una «una serie di interventi dannosi senza alcuna prospettiva realistica di tale trattamento produrre alcun beneficio».
Alla decisione del tribunale si sono opposti i familiari del paziente i quali hanno prodotto un video da cui emergerebbero dei miglioramenti del loro familiare ed evidenziando che secondo la religione islamica dell’uomo è necessario fare di tutto per tenere un uomo in vita.
Ovviamente è difficile stabilire se la decisione del tribunale sia giusta oppure se il paziente ha dei margini di miglioramento.
Nel commentare questa situazione, Nicola Terramagra sul blog di Uccr riprende un articolo pubblicato dal sito Tempi.it: quest’ultimo – per essere precisi – non usa mai il termine “eutanasia” ma si limita a riportare il fatto.
Sul blog di Uccr invece Nicola Terramagra scrive: «Il dibattito sull’eutanasia e, in generale, sulle leggi riguardanti il fine vita, è sempre più serrato. La moderna società, immersa fino al collo nel nichilismo e nel relativismo etico, tenta di spacciare l’eutanasia come un diritto reclamato a gran voce da tutti i malati terminali, come una giusta, sacrosanta e dignitosa liberazione dal dolore che la comunità deve concedere all’individuo gravemente malato».
Purtroppo su simili temi la confusione regna sovrana ed il termine stesso “eutanasia” non ha nessun significato se non si specifica se ci si riferisce all’eutanasia attiva o all’eutanasia passiva. L’eutanasia attiva consiste nella somministrazione di farmaci atti ad affrettare o procurare la morte mentre l’eutanasia passiva è la sospensione del trattamento medico che mantiene artificialmente il paziente in vita.
L’eutanasia passiva (diversa da quella attiva) trova fondamento addirittura nella Costituzione della Repubblica italiana laddove l’articolo 13 della Costituzione prevede che «la libertà personale è inviolabile» rafforzando pertanto il riconoscimento alla libertà ed indipendenza dell’individuo nelle scelte personali che lo riguardano ma – soprattutto – l’articolo 32 prevede che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» ed inoltre «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». L’articolo 32 della Costituzione è di già un “diritto perfetto” (ossia non ha bisogno di leggi per poter essere esercitato). Perciò non è assolutamente vero che l’eutanasia passiva debba essere reclamata da tutti i pazienti ma – nel caso in cui un paziente decidesse di sospendere un trattamento per accellerare la sua morte – questo diritto costituzionale deve essere rispettato: non è invece un diritto costituzionale l’eutanasia attiva.
Terramagra continua «il tutto, seguendo un tipico principio delle società relativiste: se la maggioranza delle persone, e dell’opinione pubblica, decide che la vita, in certe condizioni, non è più degna di essere vissuta, allora l’eutanasia diventa un diritto inviolabile, un valore guida attraverso cui regolamentare le delicate, ed infinitamente eterogenee, situazioni legate alla fine della vita».
Anche qui c’è molta confusione: coloro che si battono per il testamento biologico non vogliono assolutamente decidere in quali condizioni la vita non sia degna di essere vissuta ma solamente mettere al centro la volontà del paziente qualunque essa sia. Nel caso del paziente britannico un eventuale testamento biologico avrebbe potuto rivelare la sua volontà di essere tenuto in vita anche in stato di gravi ed irreversibili danni cerebrali: una volontà che sarebbe dovuta essere rispettata in ogni caso anche contro il parere dei medici.
Ad ogni modo è vero che l’eutanasia passiva sia un diritto inviolabile così come scrive Terramagra: infatti – come scritto – trova fondamento anche nella Costituzione.
Purtroppo ad opporsi al testamento biologico è proprio il mondo cattolico che – evidentemente – non pone al centro la volontà dell’individuo.
Inoltre è errato usare per il caso in questione il termine “eutanasia” che presuppone (sia nel caso dell’eutanasia attiva che in quella passiva) la volontà del paziente di porre fine alla propria vita in caso di malattie incurabili: in assenza di malattie incurabili non si può parlare di “eutanasia” ma di “suicidio assistito” che è una scelta volontaria e lucida di porre fine alla propria esistenza in totale assenza di malattie ma per ragioni estranee allo stato di salute.
In questo caso non si conosce quale fosse la volontà del paziente (e casi come questi evidenziano l’importanza del testamento biologico) quindi è più corretto parlare di sospensione dell’accanimento terapeutico lasciando aperto il dibattito se – sempre per il caso specifico – i trattamenti fossero inefficaci per l’obiettivo prefissato provocando solo ulteriore sofferenza all’individuo.
Risulta inesatto parlare di “eutanasia” soprattutto per il semplice fatto che l’eutanasia è illegale nel Regno Unito e mai nessun tribunale avrebbe potuto imporre l’eutanasia ma avrebbe potuto al limite autorizzare la sospensione di un trattamento considerato come “accanimento terapeutico”.
Per questo motivo il caso come quello descritto dal The Guardian (e ripreso da Tempi e Uccr) non è rilevante nel dibattito esistente sul testamento biologico.
Se l’eutanasia attiva ed il suicidio assistito (punibile inoltre in base all’articolo 575 del Codice Penale) non rientrano tra i diritti costituzionali, la stessa cosa non si può affermare per il testamento biologico e l’eutanasia passiva che rientrano nell’ambito dell’articolo 32 della nostra Costituzione e come tali da doversi rispettare ed applicare.