Cavallino arrì arrò

Da Pendolo0

Non è andata bene oggi al lavoro: è stata una di quelle giornate in cui va tutto storto, piena di tensione, nervosismo, telefonate, email, discussioni. Salgo nel treno che mi riporta a casa di pessimo umore e con un gran mal di testa. Come se non bastasse, per dopodomani devo finire una relazione per una conferenza e devo ancora scrivere diverse cose. Appena sistemata nello scompartimento, apro il computer e inizio a scrivere, cercando di concentrarmi più possibile.

Siamo a circa un terzo del viaggio quando sento nei sedili dietro di me una presenza insolita che mi distrae dal documento. Dallo spazio tra i due seggiolini adiacenti  spunta la faccia sorridente di una bella bambina, con gli occhi vispi e una cascata di riccioli rossi. Sta indicando con le minuscole dita il mio computer e mi sta dicendo qualcosa nella misteriosa lingua dei bambini piccoli. Le sorrido e le chiedo come si chiama, lei mi fa “ciao” con la mano e risponde qualcosa d’incomprensibile.

Si sporge sempre di più verso il computer, vorrebbe raggiungere con le dita il monitor. È ormai quasi sbilanciata e sta per cadermi in collo quando la mamma la riacciuffa, rimproverandola dolcemente: “Lascia stare la signora, non vedi che sta lavorando?”

Per tutta risposta, la bambina scoppia in un pianto disperato, le sue grida acute mi sfondano i timpani e mi rintronano, come se fossi dentro una campana che qualcuno sta martellando selvaggiamente. La mamma allora, per calmarla, inizia a dondolarla e farla ballare sulle ginocchia, canticchiando canzoncine e filastrocche.

La bambina piano piano si calma, ma, nella sua lingua misteriosa, esorta la mamma a continuare nella sua performance canora.  Tra le varie filastrocche di questo improvvisato repertorio, una in particolare non solo cattura la mia attenzione, ma  mi catapulta indietro nel tempo di un bel po’ di anni. Io la ricordavo così:

 Cavallino arrì arrò

prendi la biada che ti do

prendi i ferri che ti metto

per andare a San Galletto

a San Galletto c’è una via

che ti porta a casa mia…

Era una delle filastrocche che mia nonna Rosa ci cantava (a me, ai miei fratelli e ai miei cugini) per farci stare buoni quando avevamo più o meno l’età di quella bambina. Era davvero da tanto tempo che non la sentivo! Che sensazione strana, e quanti ricordi riaffiorano nella mia mente! Chiudo il computer, basta, fino a domani non voglio ripensare ai problemi e alle scadenze.

Il treno rallenta, sto arrivando a destinazione. Prendo la borsa e il giubbotto e mi preparo a scendere. M’incammino verso casa, è un bel pomeriggio sereno e delle placide nuvole bianche solcano un cielo che, dopo tutti i giorni di pioggia passati, è di un meraviglioso color turchese. Ho ancora un bel mal di testa, ma l’umore va decisamente migliorando… a volte basta veramente poco per sentirsi meglio!