Coraggio, umiltà, delicatezza esaltano un racconto senza sbavature sentimentalistiche, capace di suscitare emozioni genuine. Sarebbe impossibile il contrario, di fronte a delle iscrizioni che mostrano quanto fosse presente il bisogno dell’uomo di raccontare la propria vita; di mettere in forma narrativa il proprio rapporto con il tempo, lo spazio, la sopravvivenza in mezzo a tanti predatori anche più feroci di lui, ma non altrettanto intelligenti da sopravvivergli. L’immagine precede la parola. Il fatto che la troupe, improvvisata e munita di speciali ma restrittivi permessi, non potesse avvicinarsi a tutte le raffigurazioni, e potesse riprenderle solo per un centinaio di minuti, dà la misura di quanto questa grotta sia fragile e preziosa. Ma anche tenace, se si è conservata per tutto questo tempo in condizioni tanto buone. Ecco perché, una volta venuto a conoscenza della sua esistenza, l’uomo deve raccoglierne quante più tracce possibili per documentare la vita e la storia che l’hanno attraversata, facendo attenzione che la sua presenza la corrompa il meno possibile. Ecco allora un altro punto di contatto tra il cinema e tutte le attività, come l’archeologia, che l’uomo svolge per capire come e forse perché è su questa terra. Le pareti della grotta lasciano ai posteri, a noi, un’immagine tanto lusinghiera di quegli uomini quanto scialba e piccola proprio di noi. A cosa sono serviti millenni di evoluzione, se quei “primitivi” avevano una coscienza così matura del proprio ambiente e di come dominarlo?
Paolo Ottomano
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