Ce l’ho il biglietto ce l’ho! Ce l’ho il biglietto ce l’ho ce l’ho! – Urlando queste parole mi si parò davanti un vecchio ragazzo, mi agitava sotto al naso il rettangolo di carta che la cassiera del cinema le aveva consegnato. Il suo tono era pregno di paura. Poi una (bella) ragazza lo allontanò gentilmente da me e mi chiese scusa. E di cosa risposi io. Dopo capì che quella ragazza, e un’altra che vidi solo in sala, dovevano essere delle psicologhe tirocinanti o qualcosa del genere, e avevano portato gli ospiti di una casa famiglia al cinema. Mi divertii a guardarle; le severe reprimende che inscenavano verso gli ospiti più scalmanati non le appartenevano, non ancora almeno, vestivano l’autorità come una divisa di tre taglie più grandi, il loro era più che altro una reazione all’imbarazzo, l’imbarazzo per gli improbabili commenti ad alta voce che il vecchio ragazzo proponeva durante le scene di sesso. Ma tornando al biglietto, quella fu la prima volta, anche se solo per una frazione di secondo, che mi sentii come… come immagino si senta una guardia, se si esclude il breve periodo in cui sono stato un assistente universitario, ma allora era diverso, la prepotenza istituzionale che ero chiamato a rappresentare era fatta di giudizio, un giudizio una tantum, e così mi guardavano in modo ambiguo, sorrisi tirati e falsi, ma dopo i miei voti sempre troppo alti, anzi più precisamente dopo la verbalizzazione da parte della professoressa del voto che avevo deciso io, quella tensione vaporizzava, i lei si trasformavano magicamente in tu, e io tornavo ad essere ai loro occhi un pischelletto con cui magari avrebbero scambiato due chiacchiere nei corridoi della facoltà, o magari no, non più un potenziale stronzo che avrebbe potuto rovinargli la giornata, o un sadico capace di fargli saltare la sessione di laurea. Un segno convenzionale a penna su un foglietto di carta stabiliva le regole del gioco di ruolo, un pezzo di carta, come il biglietto del cinema. Il contesto sociale determina la percezione della realtà sociale, suggerisce la visione di un ordine naturale anche quando quell’ordine naturale non esiste, quando è un compromesso, un’illusione. Un esempio che mi pare appartenga a Bunuel: una donna entra in ascensore, nella cabina c’è anche un uomo, l’uomo chiede alla donna di togliersi le mutande, la donna risponde con uno schiaffo, l’ascensore si ferma, l’uomo e la donna entrano nella stesso appartamento, è uno studio medico, l’uomo è un ginecologo, la donna una paziente, l’uomo ripete la richiesta e la donna esegue senza trovarci nulla di strano. Gli attori sono gli stessi, anche la richiesta è la stessa, ma cambia il contesto, e quindi anche il senso sociale, le regole. Nel 1971 lo psicologo Philip Zimbardo realizzò un esperimento che sfuggì drammaticamente di mano a lui e a si suoi collaboratori e che diventò un caso emblematico nelle scienze sociali, si tratta dell’esperimento carcerario di Standford; nel seminterrato della facoltà di psicologia dell’università di Stanford venne ricreato un carcere, gli studenti volontari che accettarono di prendere parte all’esperimento vennero assegnati casualmente al ruolo di guardia o di detenuto, dopo alcuni giorni si crearono delle dinamiche perverse, per capirci immaginate un crudo prison movie o i resoconti della caserma di Bolzaneto nel 2001. Una parte degli studenti/guardie cominciò scientificamente a minare la dignità degli studenti/detenuti, e cercò di spezzare la solidarietà che si stava creando tra i membri del gruppo in difficoltà. L’esperimento fu sospeso e furono registrati gravi casi di depressione tra i partecipanti. Il fatto che fosse un esperimento, e che i volontari chiusi dietro le sbarre non avessero commesso nessun crimine e che recitassero quel ruolo, piuttosto di quello di guardia, solo per puro caso, non inibì la comparsa di comportamenti che gli stessi protagonisti consideravano intollerabili in altri contesti. L’abito non fa il monaco dice un vecchio adagio, ma evidentemente può fare l’aguzzino. Se volgiamo quello di Zimbardo è un metaesperimento, un esperimento su un esperimento, perché la detenzione è la più grande forma di esperimento involontario della storia umana: avete presente i test sugli animali? Per stabilire la dose letale di un particolare farmaco la cavia viene bombardata da dosi massicce di principio attivo, analogamente il detenuto è sottoposto a una somministrazione massiva di obblighi, divieti e privazione della libertà, elementi comunque presenti, ma in quantità nettamente inferiori, nella vita dei cosiddetti cittadini liberi. Dalle situazioni carcerarie i governi traggono involontariamente (?) informazioni su quanto, e come, possa essere oppressa la società che amministrano, qual è il punto di non ritorno oltre il quale le regole del gioco di ruolo non valgono più.
Comunque alla fine il film non era un granché.