Le strade di Bruxelles odorano di cioccolata e di biscotti al burro. Ci consumo i tacchi, verso un tramonto che un po' bramo e un po' non voglio che arrivi. Sono qui per quello, in fondo. Per ciò che mi aspetta dietro alla vetrina. La scritta "ceci n'est pas un prosciutto" troneggia appunto sotto ad un prosciutto, ed io già so che mi piacerà. Si porterà via tutto, quella porta, però. Il piacere dell'attesa, il pomeriggio di turismo, le confidenze tra amiche. Il resto, dopo, scivolerà via ancora più veloce. Non potrò che assorbirlo. Prepararmi alla routine. Magari scriverne un po'.
Scriverne, già. Ho sempre raccontato dei miei viaggi, essenzialmente, per essere certa di non scordarli mai. Ci metto sempre piú tempo, peró. Abbandono le stesure a caldo a favore di cancellazioni compulsive. E penso che era piú facile seguire i cantanti spagnoli; Ché almeno, se mi lasciavo andare ai sentimentalismi, loro non l'avrebbero saputo mai. Potevo parlare di abbracci e di occhi blu, di lacrime e di brividi. Comportarmi verbalmente come la peggiore delle bimbeminkia o la piú accanita delle stalker. Tanto, chi sarebbe venuto a controllare? Chi avrebbe capito, tra l'altro? Persino nel caso di una ricerca fortuita, di un alert su Google (quanto li odio!), avrei potuto giustificarmi appellandomi ad errate traduzioni. Adesso non più. Adesso faccio i conti con qualcuno che parla la mia lingua. Che conosce il link di questo blog. E, tanto per complicare le cose, dice pure che scrivo bene. Come faccio a non avere l'ansia da prestazione? A non rischiare di cadere nel ridicolo dando sfogo all'infantile entusiasmo che in un weekend nel Nord Europa mi ha fatto tremare l'anima? Cosí finisco col lasciare i miei ricordi alla mercé di una chat su Facebook, o alla memoria di chi fa troppe liste per fidarsi davvero di lei. Perché sono di nuovo quella che porta in dono cioccolatini ai musicisti. Quella senza mezze misure, che o prova indifferenza o rasenta l'ossessione. Ed ogni tanto mi preoccupa constatare di non essere cambiata neanche un po'. Allora parlo di Bruxelles, coi suoi negozi di gioielli e artigianato che avrei voluto avere piú tempo di esplorare. Bruxelles con le sue contraddizioni, e i turisti che fanno la fila per fotografare una statua piccola e bruttina di un bimbo che piscia. Accanto c'é uno scorcio da cartolina, una cioccolateria, un vicolo suggestivo. Ma nemmeno se ne accorgono, loro, con gli assurdi bastoni per i selfie a fare da emblema della solitudine. Che poi parliamone, del Manneken Pis. Del suo essere diventato un simbolo da riprodurre sui souvenir. Dell'intero percorso tematico che vi è stato costruito attorno: la bimba che piscia, il cane che piscia... Insomma, io capisco che il Belgio è noto per le birre, e che queste ultime abbiano proprietà diuretiche, ma se fossi una sua abitante non sarei mica tanto fiera di essere identificata con l'urina! Bah.
Un taxi mi passa davanti, mentre aspetto il verde ad un passaggio pedonale. C'è scritto sopra "Ceci n'est pas un taxi". E a me viene da sorridere ancora.Parlo di Bruxelles, che mi spalanca addosso la maestositá dorata della sua piú grande piazza. Mi inonda di riflessi colorati dalle vetrate di una cattedrale. E poi mi scoccia nelle troppe scolaresche in visita al museo Magritte (ceci n'est pas une pipe). Malinconica di una malinconia bella, quasi post-natalizia, nel centro raccolto che si gira a piedi.
Incravattata tra gli edifici delle istituzioni europee, la maglietta con sú scritto "Je suis Charlie" a ricordare l'attualitá su di una statua e le bandiere con le stelle allineate davanti alle vetrate. Letteraria, ancora, col museo dei manoscritti e l'eco perenne di Hugo. Con la Taverne du Passage che un tempo frequentava Baudelaire. C'era una sua poesia scritta sulle pareti di quel locale - quello con il prosciutto. Me ne sono accorta sedendomi per caso di fronte ad un ragazzo spagnolo. A proposito, com'è che ci sono tutti 'sti spagnoli, a Bruxelles? Il pullman della distruzione che da Algeciras conduce ad Hannover (ma siete seri?!), le sale da tea che si chiamano "Málaga" o "Iberia", i turisti castigliani seduti sul metro. Ce n'era uno persino in aereo. Un ragazzo carino, padre di famiglia dolcissimo. Mi era sembrato opportuno esternare a Marta gli effetti seduttivi che quella lingua ha su di me; "ché se uno é anche appena decente ma parla spagnolo, oh, ai miei occhi diventa immediatamente stupendo". Ho anche specificato che "questo qui davanti, per esempio, se non fosse sposato con prole ci farei un pensierino". Il tutto prima di accorgermi che capiva perfettamente l'italiano. Grazie a Dio, il viaggio per Bruxelles é alquanto breve.Ma dicevo del locale. Di Baudelaire. Del fatto che, prendendo un'altra tartina, ho capito di sentirmi a casa.
Ed é cosí che dovrebbero essere tutti i concerti, ho pensato. Buffet gratuito con l'aperitivo, libri ovunque, drink. E la musica spogliata da ogni fronzolo, chitarra e voce, cosí com'é nata. Intervallata da letture di testi editi ed inediti, di parole inanellate a meraviglia, che mi fanno venir voglia - nonostante l'ansia da prestazione- di buttarne giú altre anch'io. Dopo, una dedica da decrittare. L'accenno ad un'altra canzone dei Negrita. Le conversazioni con un ragazzo di Napoli accanto agli scaffali coi volumi per bambini. I saluti riportati. I ringraziamenti. Le scuse per il sudore. E Marta, soprattutto Marta, che con tutto il trasporto del mondo dice al Cile che gli vuole bene. Perché ci ha fatte incontrare. Perché ci ha fatte arrivare fin qui. In fondo é proprio questo il punto, a farci caso: se non sono mai cambiata è perchè cose come queste mi rendono felice. E ceci n'est pas une emotion.