- Adriano Celentano
Questa sera va in onda l’ultimo spettacolo del Festival di Sanremo. Una sagra della canzone italiana, una storia del costume che meglio di ogni altro genere di rappresentazione di un popolo e della sua cultura, ci dice cosa siamo stati e cosa siamo. Mi ricordo quando un televisore bastava per tre o quattro famiglie e ci si riuniva per assistere all’evento. Era uno spettacolo e la dinamica era costituita dallo scontro tra stili e generi. Morandi era il ragazzo simpatico che rappresentava l’amore romantico, Celentano era il trasgressivo che introduceva il rock and roll in una cultura musicale ancora legata alle vecchie melodie. Ne rompeva la staticità e apriva prospettive nuove con i suoi richiami evidenti alla musica rock di Elvis Presley.
Per me Celentano non è stato solo il “molleggiato”, ma il dissacratore, la costante innovativa in una cultura mielosa, mistificatrice, sdolcinata e parolaia. Continua ad esserlo con i suoi silenzi, le attese e, poi, con l’irruenza e con la capacità di fascinazione delle sue canzoni. Rappresenta la generazione degli anni Sessanta e delle sue contestazioni, le sue smanie di rompere gli schemi, di innovare le modalità del potere, negli anni del boom economico e dei primi movimenti studenteschi.
La prima sera a Sanremo se ne è venuto fuori contro ogni perbenismo, le responsabilità del potere, quando questo si esercita contro gli uomini. E da qui il putiferio per chi ha fatto finta di non capire. Prima di tutto i preti, abituati a predicare, ma non a parlare del “paradiso”. Ho trovato questo riferimento opportuno, quasi commovente nella sua ingenuità. E non mi è parso per nulla un attacco alla Chiesa cattolica. Semmai è stato un modo semplice e anche banale per richiamare l’attenzione del mondo religioso verso le “meraviglie del creato”, di cui i religiosi parlano solo raramente. Le loro menti, vuole dire il cantautore, sono allagate solo dal male che imperversa sul mondo. Al contrario è il “paradiso” che bisogna scoprire in ciascuno di noi e nell’universo, o nelle piccole cose. Una scelta di responsabilità che il potere non compie quasi mai. Perciò l’attacco è stato durissimo a giornali come ‘Avvenire’ e ‘Famiglia Cristiana’, definiti “inutili”, testate “ipocrite”. Meglio che chiudano. Una battuta evidentemente, perché nessuno è più a favore della libertà di stampa e di parola di quanto lo sia un tipo come Celentano.
Il secondo attacco è stato diretto contro la Consulta per aver bocciato il referendum sulla legge elettorale. E chi può dire che questo atto non abbia leso il diritto costituzionale dei cittadini a proporre una legge sacrosanta e necessaria?