CEMISS - Osservatorio Strategico 2/2013. LA DROGA DELL’AFGHANISTAN: TRA INSURREZIONE E PROBLEMA SOCIALE
Creato il 06 giugno 2013 da Asaarticolo pubblicato su Osservatorio Strategico Rubrica "Sotto la lente" pp. 77-82
di Claudio Bertolotti Primavera 2013. Come ogni anno, la bella stagione segna l’inizio dell’offensiva insurrezionale e della coltivazione di oppio: due elementi tra di loro strettamente correlati che interessano, per il dodicesimo anno consecutivo, anche la provincia di Herat – l’area di operazioni del contingente italiano –, dove i taliban sono legati in un rapporto di collaborazione-competizione con i locali “warlord” e “druglord” e le molteplici organizzazioni criminali. In particolare, nei distretti di Farah – dove la coltivazione di oppio è largamente diffusa e di tipo estensivo – la presenza di organizzazioni legate al narcotraffico è endemica e fortemente radicata, nonché facilitata nell’esportazione dalla vicinanza con il confine iraniano. Un recente report dell’Onu, intitolato “Afghanistan Opium Risk Assessment 2013″, confermerebbe la correlazione tra scarsa assistenza all’agricoltura e coltivazione di oppio: i villaggi che non riceverebbero assistenza ne produrrebbero di più rispetto a quelli che avrebbero ottenuto un contributo materiale o incentivi. Nel complesso, le province di Farah, Baghdis e Nimroz sono quelle in cui è stato registrato un incremento moderato nella produzione di oppio, mentre un aumento significativo ha caratterizzato la provincia di Herat (area di Shindand). Più a sud e a est, sono le province di Helmand e Kandahar, aree di responsabilità delle forze britanniche e statunitensi, quelle particolarmente interessate al fenomeno. Secondo il report, anche aree in cui al momento non esistono queste colture, come Balkh, Faryab e Takhar, sono destinate alla “conversione” dei raccolti; in sintesi, riporta lo studio dell’Onu, le aree rurali classificate come “meno sicure” hanno una probabilità maggiore di coltivare l’oppio di quelle con migliori condizioni di sicurezza. Secondo il ministero degli interni afghano, la campagna 2013 di distruzione delle piantagioni di papavero da oppio ha provocato, in quaranta giorni, la morte di 131 uomini delle forze di sicurezza governative.
Oppio, criminalità e insurrezione Il cambio di strategia e il corso di una guerra proiettata verso l’“irreversibile” transizione, hanno portato a una riduzione dell’attenzione mediatica sul conflitto, in particolare dei successi insurrezionali sul campo di battaglia convenzionale e su quello politico e sociale. Eppure, anche nel dodicesimo anno di guerra i taliban hanno ottenuto buoni risultati in un’opera di ampliamento operativo che dal sud e dal sud-est li ha spinti anche verso il nord e l’ovest. La situazione è critica e dimostra come i taliban abbiano perseguito una politica della doppia velocità volta, da un lato, a occupare gli spazi lasciati progressivamente vuoti dalle forze della Coalizione e, dall’altro, a colpire incisivamente laddove l’impegno militare delle forze occidentali e governative avrebbe dovuto dimostrarsi maggiormente efficace; in questo provocando un’escalation della violenza nei punti chiave dell’Afghanistan da pacificare, le provincie di Kandahar, Paktya, Kabul, ma anche Herat, Nangarhar e Kunduz. Le tecniche operativamente e psicologicamente più destabilizzanti sono quelle degli attacchi con ordigni esplosivi improvvisati Ied (Improvised explosive device) e attacchi suicidi, migliorati con l’applicazione della tecnica suicide-commando, ma alta è anche la preoccupazione per le azioni tipiche della guerriglia, le imboscate, i preoccupanti attacchi green on blue, i rapimenti e le uccisioni mirate aventi lo scopo di demoralizzare funzionari locali e stranieri. Eppure i mandanti o gli oppositori non sarebbero sempre i taliban propriamente detti; il narcotraffico ha infatti portato alla nascita di gruppi di para-insorti interessati al massimo profitto derivante dal commercio di droga, nascondendosi formalmente tra i gruppi di opposizione e spesso collaborando con loro, sebbene non condividendone ragioni ideologiche o politiche. La criminalità, dunque, si affiancherebbe ai gruppi di opposizione uccidendo “rivali in affari”, politici ostili, funzionari dell’apparato di giustizia. E in questa fase dello scontro il peso della droga, ancora una volta, si è fatto sentire. Mentre il governo centrale si è, seppur pigramente, impegnato nel processo di eradicazione del papavero da oppio – unica fonte di sostentamento per molte delle comunità rurali dell’Afghanistan – gli insorti ne hanno garantito la sicurezza dei campi, l’acquisto delle produzioni stagionali con pagamenti anticipati e il supporto logistico alle comunità dedite a questo tipo di coltura. Ciò ha provocato un processo di indebitamento di molte famiglie contadine afghane che, a fronte del parziale tentativo di eradicazione dell’oppio da parte del governo di Kabul (per lo più concentrato sule piccole produzioni famigliari e limitatamente su quelle dei grandi proprietari terrieri), hanno dovuto compensare il denaro dovuto attraverso la formula “debt marriage”, l’uso di ragazze (le figlie dei debitori) come merce di scambio tra contadini e trafficanti (fonte Iom, International Organization for Migration, 2008). Le povere comunità rurali, dovendo scegliere tra governo e insorti sulla base dei benefit e delle politiche adottate dall’uno e dagli altri, hanno optato per la parte che è in grado di sostenere l’economia locale. I taliban si sono così avvicinati alla popolazione civile con fine ed efficace azione di convincimento basata sulla propaganda e su risposte concrete ai bisogni immediati di comunità ai margini di uno Stato a rischio di fallimento.
L’economia della droga e le ripercussioni sociali I proventi derivanti dalla produzione di papavero da oppio e il suo commercio garantiscono all’insurrezione afghana, taliban in primis, ingenti somme di denaro utilizzate per sostenere l’opposizione armata e la lotta di resistenza contro la Coalizione internazionale a guida statunitense e il governo afghano da questa sostenuto. Qual è, in termini quantitativi, l’entità dell’economia di guerra basata sulla droga? I numeri di questo fronte non secondario del conflitto afghano, ci descrivono la situazione come molto critica, tanto sul piano della sicurezza quanto su quello del disagio sociale. L’Afghanistan produce il 90% di tutte le droghe oppiacee al mondo, sebbene sino a tempi recenti non ne fosse un importante consumatore. Al contempo, la produzione di eroina su territorio afghano è aumentata di quaranta volte da quando, nel 2001, è stata avviata la «guerra al terrore»; solamente nell’ultimo anno, la produzione è aumentata del 18%, portando da 131.000 a oltre 154.000 gli ettari di terreno agricolo dedicati alla coltivazione del papavero da oppio. È evidente il fallimento della Nato sul fronte della lotta al narcotraffico. Secondo lo United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC) – che attribuisce l’aumento della produzione di oppio al profitto competitivo della coltura in un paese in cui non esistono migliori alternative – i taliban sarebbero attualmente in grado di ricavare economicamente dalla droga più di quanto non lo fossero durante il regime del loro Emirato islamico negli anni Novanta. Un business che garantirebbe all’insurrezione entrate di circa 700 milioni di dollari annui (cifra di molto inferiore a quella destinata ai narcotrafficanti), più che necessarie a sostenere – e al tempo stesso ad alimentare – una «macchina da guerra» funzionale ed efficace, tanto sul piano militare quanto su quello politico-economico. Due terzi dell’oppio prodotto in Afghanistan sono trasformati in eroina, direttamente in Afghanistan o nei paesi limitrofi dell’Asia centrale; del totale prodotto poco meno del 2% verrebbe intercettato dalle autorità governative afghane. Tre sono le principali «vie della droga» dall’Afghanistan. La più importante è quella che attraversa l’Iran (35/40% del traffico totale), la seconda è quella che attraverso Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan (25/30%) garantisce un approvvigionamento di cinquanta tonnellate di oppio l’anno per il mercato russo; la terza via (25/30%) attraverso il Pakistan, in particolare via Baluchistan e Karachi, si muove su rotte europee. Il Tagikistan, afflitto da un elevato livello di corruzione, è il principale paese di transito della rotta verso nord; quando la Russia schierò le proprie truppe sul confine tagiko nel 2005 il livello del traffico illecito diminuì significativamente. Il Kirghizistan ha recentemente aumentato i propri sforzi nel contrasto al narcotraffico, in particolare avviando un rapporto di collaborazione e mutua assistenza con il governo iraniano; anche l’Uzbekistan ha adottato un’analoga politica, per lo più per ragioni legate al ruolo giocato dai gruppi di opposizione armata operativi a livello regionale. Il Kazakhstan è particolarmente attivo nella lotta al narcotraffico; nonostante i problemi di coordinamento con il Turkmenistan (una sorta di zona grigia non adeguatamente controllata), ogni anno le autorità kazakhe sequestrano partite di droga per un totale di 23 tonnellate. Circa metà dell’eroina prodotta in Afghanistan è consumata in Europa e in Russia, mentre il 42% dei consumatori di oppio si trovano in Iran; le due droghe, complessivamente, sarebbero la causa di 100.000 morti l’anno, un terzo dei quali nella sola Russia. L’Afghanistan, con una popolazione teorica di trentacinque milioni di abitanti, presenta un preoccupante livello di tossicodipendenza: oltre un milione di individui – poco meno della metà (40%) sarebbero donne e minori. I profughi afghani rientrati dall’Iran e dal Pakistan – dove il livello di tossicodipendenza è elevato – avrebbero contribuito alla diffusione dell’uso di droghe; miseria, disoccupazione e degrado diffusi sarebbero concause di questa situazione, a cui si unisce il ruolo di una violenta guerra combattuta ininterrottamente da quasi quattro decenni le cui conseguenze si ripercuotono pesantemente a livello sociale. Infine, l’oppio in Afghanistan è un diversivo a buon mercato – meno di cinque euro/grammo (il prezzo dell’oppio grezzo è di poco superiore ai 200 euro al chilogrammo) – e ampiamente disponibile. Domanda e offerta si incontrano sostenendosi vicendevolmente. Se il ministero degli Interni afghano ha dimostrato incapacità nel contrasto del narcotraffico, il ministero della salute ha finanziato complessivamente non più di cento centri di riabilitazione e disintossicazione, per un bacino di utenza di 2500 assistiti e un budget inferiore ai tre euro/annoper ognuno dei soggetti in cura; è evidente l’inefficacia dello strumento sanitario, così come è evidente l’assenza di una volontà strategica di limitare produzione e commercio della materia prima. Un ulteriore indizio che conferma come la guerra alla droga in Afghanistan non sia stata vinta. La produzione di oppio è stata centrale nell’economia afghana, ben prima dell’intervento statunitense e della Nato; la severa politica di contenimento della produzione di oppio negli ultimi anni del governo taliban non va letta in un’ottica di contrasto al fenomeno bensì come tentativo (riuscito) di riportare i prezzi di vendita a livelli vantaggiosi (giacché l’eccessiva produzione aveva comportato un abbassamento significativo del prezzo di vendita); l’andamento dei prezzi negli ultimi tre anni è stata altalenante: nel 2010 l’oppio afghano variava tra i 60 e gli 85 dollari al chilo, nel 2011 tra i 300 e il 600 dollari, nel 2012 e inizio 2013 è tra 160 e 440 dollari al chilo (sebbene quest’anno i prezzi siano più bassi degli anni scorsi, sono comunque più alti di quanto lo fossero tra il 2005 e 2009). Oggi l’economia afghana dipende, quasi esclusivamente, da due fonti di reddito: gli aiuti concessi dalla comunità internazionale e il traffico dell’oppio. Al di là dei proclami ufficiali e indirizzati alle opinioni pubbliche delle nazioni contribuenti allo sforzo bellico afghano, i numerosi tentativi di contrasto della produzione di oppiacei adottati dalla Nato sono stati fallimentari e in contrasto con gli obiettivi della politica di «conquista dei cuori e delle menti degli afghani» che, in un contesto socio-economico disastrato e affetto da corruzione cronica, proprio nel narcotraffico trovano l’unica fonte di sopravvivenza: agire efficacemente su questo fronte avrebbe comportato, per l’Alleanza atlantica, un aumento delle ostilità nei confronti della missione internazionale con conseguente allargamento dell’entità insurrezionale e severe ripercussioni a livello politico-strategico e operativo. Osservando la diffusione del fenomeno, emerge come non esista un prodotto agricolo che possa sostituire l’oppio: non richiede un’elevata tecnologia di produzione, necessita di poca acqua per essere coltivato ed è di rapida crescita. Sul piano dei vantaggi commerciali e dell’investimento in tecnologie e attrezzature per la produzione, il papavero non ha eguali; a poco, o nulla, sono serviti i numerosi tentativi di sostituire la produzione di oppio con altri prodotti agricoli, compresa la costosa – e complessa sul piano gestionale – coltura dello zafferano. Una situazione che avrebbe portato circa due milioni e mezzo di persone, per lo più contadini con le loro famiglie, a vivere oggi del raccolto di oppio; una condizione destinata a rimanere invariata anche nel 2013. Il principale programma di contrasto alla produzione dell’oppio, messo a punto nel 2008, nasceva da considerazioni di carattere economico: un ettaro di terreno coltivato a grano garantirebbe una rendita di 1.200 dollari, 4.500 per uno a oppio, a fronte di 12.000 dollari per uno a zafferano (ma con tre anni di attesa per un effettivo profitto). Al fine di limitare la produzione di oppio, come alternativa italiana all’approccio sino ad allora utilizzato e basato sull’azione di «convincimento» e della «conquista dei cuori e delle menti», nella seconda metà del 2010 venivano distribuite oltre cinquanta tonnellate di bulbi di zafferano (a cura del Provincial Reconstruction Team italiano di Herat) destinate alla coltivazione di almeno trenta ettari. I risultati non sono stati soddisfacenti: In sintesi, «l’offensiva dello zafferano» è fallita. Secondo stime della Nato, metà dei fondi a disposizione dell’insurrezione proverrebbe proprio dal narcotraffico. E i taliban, che hanno dimostrato di non avere alcuna intenzione di rinunciarvi, avrebbero avviato un’offensiva orientata a distruggere i campi con coltivazioni legali, colpire i mezzi di trasporto con bulbi di zafferano e fertilizzanti, minacciare di morte gli agricoltori e le loro famiglie. Anche sul piano politico-finanziario non sono stati ottenuti risultati soddisfacenti, avendo mancato di raggiungere un obiettivo di rilevanza strategica: il taglio del flusso di denaro – correlato al narcotraffico – dalle organizzazioni criminali ai gruppi insurrezionali. Circa il 15% del PNL afghano dipende dall’esportazione di droga, per un totale di 2,4 miliardi di dollari l’anno (fonte UN). E così, all’evidente impossibilità da parte della Comunità internazionale di contrastarne la produzione e il commercio, si unirebbe l’interesse di alcuni istituti finanziari internazionali nella gestione del denaro derivante dai traffici illeciti.
Breve Analisi conclusiva Secondo le Nazioni Unite, l’aumento nella produzione di oppio è avvenuto prevalentemente nelle regioni meridionali, in particolare nei distretti e nelle province recentemente transitate dalla responsabilità della Coalizione a guida statunitense alle forze di sicurezza afghane. L’incremento nella produzione, favorito anche dal prezzo di mercato, suggerisce che gli afghani starebbero concentrandosi sui traffici illegali in previsione della probabile crisi economica che potrebbe derivare dal disimpegno dei contingenti militari stranieri alla fine del 2014. Su trentaquattro province, l’aumento di produzione è stato registrato in dodici, stabile in altre sette e in lieve calo in una; nel complesso quattordici province sarebbero classificate come “poppy free”. Kandahar e Helmand a livello produttivo sono classificate come “high” e “very high”; queste sono le due aree da cui le truppe statunitensi si stanno disimpegnando – dopo il surge militare durato tre anni – e sulle quali si sono concentrati i principali sforzi per la lotta al narcotraffico attraverso la ricerca di colture alternative all’oppio. Nonostante il governo afghano si sia formalmente impegnato a “bonificare” 15.000 ettari di terreno utilizzato per la coltura di oppio (non molto rispetto al totale di 154.000, ma comunque un target superiore del 50% rispetto a quello del 2012), il rischio potenziale – a fronte del disimpegno internazionale a cui farà seguito il passaggio di responsabilità alle impreparate forze di sicurezza locali e al debole stato afghano – è che l’Afghanistan si trasformi nel medio termine un narco-stato.
articolo pubblicato su Osservatorio Strategico Rubrica "Sotto la lente" pp. 77-82