Alla fine, però, questa mia insistita e profonda ignoranza, cui nemmeno ho cercato di porre rimedio prima di andare a teatro, è forse il motivo per cui mi lascio andare alla musica e mi godo lo spettacolo.
All’interno di questo universo espressivo, l’allestimento e la lettura dell’opera da parte di Emma Dante introducono elementi di modernità e di originalità che trasformano lo spettacolo quasi in un burlesque, non nel senso dello spettacolo lascivo che è diventato, bensì nel senso della commistione tra canti e danze, per i costumi (bellissimi: complimenti a Vanessa Sannino), per il carattere quasi parodistico di alcuni passaggi e personaggi. Emma Dante, nella bella intervista contenuta nel programma dell’opera (e che anche questa volta non manco di acquistare, anche in onore al mio amico E.), dice di essersi ispirata alla corrente del pop surrealism, che sinceramente non conoscevo e su cui mi sono andata a documentare.
Intorno ai personaggi principali (la stessa Cenerentola, il padre Don Magnifico, le sorellastre, il principe Don Ramiro, Dandini e Alidoro), si muove una schiera di personaggi il cui impatto visivo ed emotivo è particolarmente significativo. Si tratta da un lato delle serve che insieme a Cenerentola si occupano del palazzo di don Magnifico, dall’altro degli scudieri di Don Ramiro: tutti personaggi non solo con costumi buffi (quasi tutti virati sui colori dell’azzurro, del rosso e del bianco), ma con una carica a molla applicata sulla schiena (come in un carillon). Personaggi quindi quasi meccanici, non dotati di volontà propria e soprattutto di propria iniziativa, visto che per agire hanno bisogno che qualcuno gli dia la carica. Questi due gruppi di personaggi si mescolano poi a formare la schiera delle pretendenti del principe alla festa di palazzo, e uomini e donne - vestiti da spose - sfidano la concorrenza di Cenerentola uscendone delusi e sconfitti. Poi di nuovo si trasformano in serve e scudieri, questa volta a formare coppie che replicano all’infinito l’amore di Cenerentola e del suo principe.
Il primo atto è un tripudio visivo e sonoro e, grazie anche all’effetto sorpresa delle scelte coraggiose di Emma Dante, mi conquista totalmente. Il secondo atto si fa più melodrammatico, lì dove i due personaggi principali convolano a nozze e il bene non solo trionfa sul male, ma scioglie il conflitto nel perdono. La regista, però, non si fa sfuggire l’occasione di trasformare questo finale un po’ troppo buonista in una lezione almeno parzialmente punitiva per i maltrattatori. Personalmente il secondo atto – pure molto più breve del primo – mi è risultato meno entusiasmante, dal che ho capito che forse l’opera buffa è più nelle mie corde, anche se mi riservo una valutazione dopo aver fatto ulteriori esperienze di questo mondo per me così nuovo.
(E il voto finale è – come sempre e ancor più – un voto alla mia esperienza soggettiva, più che al valore dello spettacolo, che con buona probabilità non sono in grado di giudicare).
Voto: 4/5