Cento micron di Marta Baiocchi: un altro bel Nichel di minimum fax

Creato il 30 settembre 2012 da Frailibri

Marta Baiocchi, Cento micron – minimum fax *Nichel* (2012), 281 pagine, 11 euro

Bibi è giovane e determinata. E vedova, il marito muore e la lascia sola. Sola, con i loro ovuli fecondati e conservati in una clinica. Bibi li vuole indietro per farseli impiantare, andando contro la legge italiana e sperando di corrompere, con l’aiuto di Eva, la sua amica di infanzia biologa precaria, qualche medico. Queste le premesse; ci sono alcuni punti del romanzo che ci fanno fermare, riflettere, rimuginare, arrabbiare. Punti che letti sui giornali fanno un effetto; raccontati, inglobati in una storia, pur se di fiction, realistica, fanno un altro effetto: emotivo, empatico.
Punto primo. Il problema sociale di una legge 40 in alcuni punti dichiarata incostituzionale dal Parlamento di Strasburgo. E qui ti cominci a interrogare sul caso concreto e pensi: se una donna rimane incinta con il marito accanto, e il marito per un caso sfortunato muore, cos’è, le tolgono il figlio o la costringono a non portare avanti la gravidanza? Perché una donna che rimane sola non può avere un figlio, tra l’altro programmato, voluto e creato con il marito?
Punto secondo. La mancanza di fondi per la ricerca e la questione etica legata alla ricerca sugli embrioni. Come per il primo punto, leggere che i ricercatori sono precari, che sono costretti ad andare all’estero, che non sono aiutati dalle stesse strutture in cui operano è un conto; “ascoltare” Eva, biologa precaria, che porta avanti importanti ricerche, spinta dalla sua passione e non abbattuta dalla mancanza di appoggio, anche professionale (non solo economico) dei suoi superiori; che deve combattere contro la gerontofilia di certi ambienti (non solo universitari), feudi con fortificazioni e vassalli che servono il principe, in attesa di una – sicura – ricompensa, spesso a scapito di chi lavora senza progettare una scalata prendendo una scorciatoia; che deve economizzare su tutto e non può materialmente andare avanti se le manca una sostanza, un macchinario, uno strumento che le viene promesso e mai concesso, e la sua necessità viene relegata a un “mancano i fondi, non abbiamo più soldi da spendere”.

Bibi riesce ad arrivare a un passo dalla soluzione, dalla realizzazione del suo desiderio di maternità. Ma i suoi embrioni non ci sono più.
Punto terzo. Emotivo e narrativo. Scatta il giallo che ti prende fino alla fine e ti fa entrare in mondi che vanno al di là dell’immaginazione, veri, verosimili… futuri, dove la fantascienza a volte sembra più verosimile di quanto si creda. Ti tiene incollata alla storia, ti fa aspettare con ansia il momento in cui riprenderai a leggere da dove ti eri fermata.

Punto quarto. Il dibattito, un dibattito enorme che parte da un piccolo, infinitesimo (appena cento micron) embrione. C’è un dialogo di Eva con uno sconosciuto incontrato su un treno che mette in luce, in maniera non pedante e retorica, ma solo prendendosi il tempo di esprimere con chiarezza e in maniera secondo me esaustiva, quale possa essere il punto di vista di una ricercatrice (e Marta Baiocchi, oltre a essere una bravissima scrittrice, è una validissima ricercatrice) di fronte alla legge sulla fecondazione assistita, sulla “selezione” degli embrioni, sulla ricerca in genere, le sue potenzialità, le possibilità, i suoi limiti e le contraddizioni. A fare da contraltare al pensiero di Eva, c’è un uomo che puntualizza un’opinione che sembra quella diffusa dai media, dal pensiero comune, dal pensiero diffuso. Ed è proprio questo dialogo, fatto di considerazioni, riflessioni e non dogmi da accettare senza pensare, che costituisce il nucleo del messaggio di un romanzo che intrattiene, informa, appassiona, stupisce. Un romanzo che non fa mai mostra di se stesso con pedanteria e saccenza, come sempre più spesso accade con gli esordi, ma scritto semplicemente per raccontare una – non del tutto semplice – storia da una autrice che è assolutamente nata per narrare.



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