Centomila intercettazioni per il ricatto al Premier. Illegali o inopportune?

Creato il 18 settembre 2011 da Iljester

È una domanda più che legittima. Potrei subito rispondere così: più che illegali, le intercettazioni sono abnormi, rispetto al tenore dei reati contestati. E rispetto ai soggetti coinvolti. Centomila intercettazioni sono davvero parecchie. Neanche se si stesse indagando sui reati perpetrati da una cosca mafiosa e si tratti di traffico internazionale di esseri umani, di armi, di tecnologia nucleare, di rifiuti pericolosi o stupefacenti. Una spesa giudiziaria che lascia davvero perplessi, se si pensa che il tenore delle telefonate – almeno quelle che ho potuto leggere nei giornali – non lasciano (grande) spazio a elementi di reato né certi né – se certi – tali da giustificare l’utilizzo così massiccio di questo straordinario (in tutti i sensi) strumento procedimentale penale.
L’illegalità delle intercettazioni invece mi sembra piuttosto forzata. È pur vero che le intercettazioni che riguardano il Presidente del Consiglio devono essere autorizzate, ma la verità è che esiste una macroscopica lacuna nella legge, posto che non contempla le intercettazioni che riguardano utenze telefoniche che contattano il Presidente del Consiglio. Ma è questa una lacuna difficile dal colmare (almeno oggi e con questa opposizione poco responsabile), semplicemente perché la ratio che sta alla base dell’attuale normativa, è la «protezione» delle utenze telefoniche in uscita del Presidente del Consiglio, e non già quelle in entrata. Ergo, trovata la legge, trovato l’inganno.
Perciò, riassumendo, il problema cruciale non è tanto l’illegalità o l’inopportunità (etica) delle intercettazioni, quanto il loro distorto utilizzo. Soprattutto rispetto agli obiettivi politici che accompagnano la loro pubblicazione incontrollata (troppo spesso relativa a conversazioni che nulla hanno a che vedere con le indagini in corso), e che per questo sono di grande impatto mediatico (e politico) a vantaggio dell’opposizione. Perché se è pur vero che la politica deve essere trasparente, è anche vero che la privacy è un bene giuridico fondamentale che non può essere compromesso o demolito per finalità che nulla hanno a che vedere con la riaffermazione della giustizia. Pubblicare un’intercettazione dove il Presidente del Consiglio fa un apprezzamento su una donna, non ha infatti nessuna finalità di giustizia, ma mira semplicemente a distruggere il pubblico attraverso l’esposizione del privato. Come se in questo paese non ci siano «papponi» e «puttane» a tutti i livelli e in ogni ambito sociale. Come se la nostra politica non rispecchiasse la società civile, senza distinzioni di orientamento politico e di classe sociale.
Peraltro, davanti a qualsiasi intercettazione che riguarda il Presidente del Consiglio, estrema sintesi del Potere Esecutivo, i beni giuridici fondamentali messi in pericolo sono tre: la privacy, la sicurezza dello Stato e la separazione dei poteri. Poiché – ricordiamo – il Premier (al di là della persona che riveste la carica in quel momento) è anche il capo dell’Esecutivo, il quale esercita delicate funzioni di Stato, che spesso non possono né devono venire a conoscenza del pubblico o dei magistrati, che rappresentano un potere diverso. La ragion di Stato in questo senso non è una teoria, né un capriccio politico. La ragion di Stato trova il proprio fondamento nell’unitarietà dello Stato, nella sua sicurezza interna ed esterna, nella sua integrità rispetto ai rapporti con le altre nazioni. Non a caso, ogni grande democrazia protegge in un modo o nell’altro i propri massimi rappresentanti politici, contro le aggressioni interne ed esterne che possano (con qualsiasi modalità) pregiudicare la figura istituzionale che esprimono.
La verità dunque è ben più complessa e articolata. Nessuna comunità statale metterebbe mai a repentaglio la propria sicurezza e la propria credibilità politica davanti al resto del mondo, pur di distruggere chi in quel momento la rappresenta. Fenomeno che invece in Italia sta accadendo. Mettere alla berlina il Presidente del Consiglio, non distrugge infatti (solo) l’uomo che riveste la carica (l’odiato Berlusconi), ma distrugge la carica costituzionale, la pone in una posizione (innaturalmente) subordinata al Potere Giudiziario, in una costante e abnorme esposizione mediatica e ricattatoria che ne svaluta il prestigio, l’integrità e l’autorevolezza (già di per sé costituzionalmente debole), a danno di tutti.
Certo, qualcuno ora cercherà di sostenere il principio di uguaglianza. Ma è chiaro che è questo un argomento troppo debole per giustificare quanto sta accadendo oggi. Ogni democrazia che si rispetti, nel perseguire i propri fini democratici, stabilisce una separazione netta dei Poteri, che richiede guarentigie e ambiti di «immunità» dei Poteri gli uni nei confronti degli altri. È difficile infatti immaginare un rapporto corretto ed equilibrato tra essi, nel momento in cui l’uno può condizionare e controllare l’altro in qualsiasi modo o con qualsiasi strumento che la legge o la Costituzione gli offre. Del resto, è facile capire il concetto: se siamo tutti d’accordo che il magistrato non deve essere dipendente o non deve essere condizionato dal Governo, dovremmo essere altrettanto d’accordo nel sostenere che il Governo non può né deve essere condizionato dal magistrato. Ritenere vero il primo concetto e negare il secondo (o viceversa) svela un pensiero di fondo, che non è realmente informato ai princìpi della democrazia e del rispetto della Costituzione.


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