Caremma salentina
A Caremma pizzicotta, face u casu e la ricotta
e li face scusi, scusi cu nu lla vitine i carusi,
e li face chianu chianu, cu nu lla vite u guardianu.
A Gallipoli la Caremma è la madre “te lu Titoru” (la maschera locale che muore per le gozzoviglie del martedì grasso), a Martina Franca è la “Quarantena”, riempita di dolci e frutta per la gioia dei bambini, ad Oria è la “Quaremma”, che ha come “corredo” anche una bottiglietta d’olio (per alimentare la lampada che le consentirà di continuare a lavorare di notte), una d’aceto (a simboleggiare la ristrettezza economica) e 7 fichi secchi o taralli oltre al fuso. Nel centro Italia è la “Quaresima delle sette piume” mentre nel nord Italia è la “vecchia di Mezzaquaresima”. Nel Veneto si usa fare il “rogo dela vècia”.
A Maglie fino allo scorso anno le Caremme mi tenevano compagnia ogni mattina mentre andavo al lavoro. Quest’anno non se ne vedono. A Parabita una gentile signora mi rincuorava dicendomi che secondo tradizione “se fai la Caremma una volta poi la devi fare per sette anni”, quindi “dovrebbero essercene in giro, visto che l’anno scorso c’erano”.
Caremma salentina
A Tuglie, il paese delle Caremme, finalmente, ne ho trovate alcune. Più “moderne”, colorate, più vicine allo spirito del Carnevale che a quello della Quaresima.
Una signora anziana che mi osservava divertita mentre guardavo per aria, convinta che mi fossi persa, quando mi sono avvicinata dicendo invece che “cercavo le Caremme”, mi ha guardato con un sorriso pieno di tenerezza. “Comu le piccinne“, ha poi commentato, senza aggiungere altro, quasi a volermi dire che stavo parlando di qualcosa di ormai molto lontano.
Forse, e lo spero vivamente, non ho cercato bene o abbastanza. Forse le persone giuste a cui chiederlo in quel momento non erano per strada, erano impegnate e non hanno potuto aiutarmi. Forse le esporranno l’anno prossimo.