Lussemburgo, maggio 2014. Mi basta poco per essere felice.
certi giorni mi chiedo come faro' ad alzarmi, farmi una doccia e vestirmi passabilmente carina, andare in ufficio e passare la giornata al telefono in complesse conversazioni con uominimi chiedo come faccio a scrivere articoli complicati e anglosassoni, mi chiedo come faccio a sorridere ed essere gentile coi colleghi modulando il tono a seconda della nazionalita', a negoziare sul contratto senza sembrare naif e a volare dall'altra parte del mondo da sola, a fare battute approppriate e a non rispondere (quasi mai) male se mi fanno innervosire.
mi chiedo come faccio a portare a pranzo professionisti milionari e a sostenere conversazioni futili e ammiccanti. mi chiedo come faccio, alla sera, a saltare la cena e sorridere davanti a un bicchiere di champagne intavolando discussioni tecniche con perfetti sconosciuti che nella maggior parte dei casi non hanno alcun desiderio di parlarmi.
certe volte, quando mi sveglio col viso pesto dopo che ho passato la notte a piangere sui miei fallimenti sentimentali, me lo chiedo.
la risposta puo' essere semplicemente che amo il mio mestiere. lo amo, mio malgrado, sopra ogni altra cosa.
lo amo di un amore infantile, cocciuto e testardo, anche quando dico che per lui ho sacrificato tutto, anche quando dico che mi ha stufata, che e' sopravvalutato e che per crederci ancora vivo nel mondo delle fiabe.
lo amo anche quando qualcuno mi dice che il successo non è importante e io annuisco scuotendo vigorosamente la testa. e quando guardo film di anni sessanta e invidio donne semplici e angeliche come la lei di questo.
lo amo perché è un lavoro da egocentrici curiosi testardi e rompiballe. e alla fine un po' di bene lo voglio anche a me.