Cesare Battisti è all’ergastolo

Creato il 16 ottobre 2011 da Dailyblog.it @daily_blog

Di Gianni Pardo il 16 ottobre | ore 12 : 52 PM


Uno che di cognome si chiama Garibaldi è meglio che non chiami il proprio figlio Giuseppe. Uno che si chiama Battisti è meglio che non chiami il proprio figlio Cesare, perché i paragoni sono impietosi. Nella storia Battisti è un personaggio che ha affrontato la morte perché amava l’Italia, nella cronaca è un ex terrorista che la morte l’ha inflitta ad altri. Questo briccone è stato condannato a qualche ergastolo, è evaso, è fuggito in Francia e qui si è riciclato come beniamino della gauche francese e autore di romanzi. Quando poi la Francia, svegliandosi dal lungo sonno mitterrandiano, s’è accorta di coccolare un assassino ed ha concesso l’estradizione, è scappato ancora. In Brasile un secondo Mitterrand, il Presidente di sinistra Lula da Silva, gli ha concesso l’asilo politico, ma l’ultima notizia è che la Procura brasiliana chiede l’espulsione del reo perché il suo visto d’ingresso non poteva essere concesso: secondo quanto riconosciuto nella stessa procedura per l’estradizione, Battisti in Italia non è stato condannato per reati politici ma per reati comuni. E qui non si capisce come si sia potuto concedere l’asilo politico a un semplice ergastolano. Probabilmente anche quest’ultima svolta della vicenda si risolverà in un nulla di fatto: la giustizia a volte non è bendata per essere imparziale, lo è per non vedere l’evidenza.
Questa lunga storia è cominciata alla fine degli Anni Settanta, oltre trent’anni fa. E tutto questo tempo alla fine ha un significato di per sé.
Gli esseri umani cominciano col vivere come se avessero la marcia indietro. “Faccio questo e poi, se non mi va, faccio dell’altro”. E invece la vita spesso incastra il singolo in una situazione irremovibile. È andato a letto con una ragazza solo perché lei era disponibile e perché tutti e due erano brilli e lei è rimasta incinta. Così lui si è ritrovato prima sposato e padre, poi magari divorziato, ma padre per tutta la vita. Quante persone hanno accettato un lavoro “temporaneamente e in mancanza di meglio” e poi sono rimaste legate ad esso fino alla pensione?
Ma se già si paga per una stupidaggine che si è fatta con leggerezza, il livello più alto di questo dramma esistenziale si raggiunge quando l’azione si trasforma in tragedia. Si partecipa ad una rapina tanto per avere un’emozione o un po’ di soldi, ci scappa il morto e ci si ritrova ergastolani fino alla maturità avanzata. E questo non è neppure il peggio: perché la pena continua anche dopo avere scontato il carcere. Ci saranno ambienti di malavita in cui l’assassino fruisce di un’aureola di duro ma nella società civile l’ex assassino, l’ex stupratore, l’ex truffatore saranno discriminati per sempre. Il prezzo da pagare finirà col superare quello del carcere: lì si poteva aspettare la liberazione, fuori si scopre che il “fine pena” non giunge mai.
A Cesare Battisti era andata incredibilmente bene. A Parigi i dementi di sinistra, per disprezzo dell’Italia, gli avevano creato un’immagine di artista e di rifugiato politico. Poi, dopo molti anni, quando l’arrogante ex terrorista credeva di essersi buttato il passato alle spalle, questo passato s’è risvegliato e la Francia si è finalmente vergognata della protezione accordata a un ergastolano privo di attenuanti. L’ “artista” è dovuto di nuovo fuggire ma in Brasile perfino un governo che lo protegge dalla galera lo dice colpevole di reati comuni. E ora minaccia di espellerlo. Magari rinviandolo a quella Francia da cui poi sarebbe probabilmente spedito alle patrie galere.
Quest’uomo ha raggiunto la notorietà internazionale, ma è quella di un esule inseguito dai suoi delitti; di un assassino conteso da varie polizie: e tuttavia non ispira la minima pietà. Se questo è il modo che ha scelto il destino per fargli scontare la pena per i suoi misfatti, non se ne può essere che contenti. Si può avere pietà del condannato redento che ciò malgrado non riesce più a inserirsi nella società ma per Cesare Battisti, come per O.J.Simpson, siamo lieti che la retribuzione che non ha saputo infliggere loro la giustizia la infligga la società.
giannipardo@libero.it
15 ottobre 2011


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