Cesare deve morire

Creato il 02 marzo 2012 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Anno: 2012

Distribuzione: Sacher Distribuzione 

Durata: 76′

Genere: Documentario

Nazionalità: Italia

Regia: Paolo e Vittorio Taviani

Fu un’amica a noi cara che ci disse di essere stata poche sere prima a teatro e di avere pianto; non le succedeva da anni. Andammo a quel teatro e quel teatro era un carcere. Il carcere di Rebibbia, sezione di alta sicurezza”. Così inizia l’avventura di Cesare deve morire, il film che ha condotto Paolo e Vittorio Taviani alla vittoria di un premio internazionale così rilevante come l’Orso d’Oro al 62° Festival Internazionale del Cinema di Berlino. Un film che si pone a metà tra documentario e finzione, settantadue minuti di pura poesia capaci di suscitare emozioni per molti ormai sopite.

I due registi, spinti dal consiglio di un’amica, sono dunque andati a visitare il carcere di Rebibbia e ad assistere a uno dei tanti spettacoli che il suo laboratorio teatrale, seguito dal regista Fabio Cavalli, metteva in scena. Una ventina di detenuti della sezione di Alta sicurezza (detenuti per mafia, camorra, ‘ndragheta, omicidio) stava leggendo alcuni canti dell’Inferno della Divina Commedia di Dante e li interpretava con tutta l’angoscia e il dolore vissuti realmente ogni giorno sulla pelle, a causa dei sensi di colpa e del tormento della prigionia nel proprio personale Inferno. È stata questa visione della sofferenza che ha fulminato ed emozionato in profondità l’animo dei due famosi registi e fatto nascere in loro la necessità e lo spirito del racconto. Hanno così proposto alla compagnia teatrale dei detenuti di creare un film che si basasse sulla preparazione e la messa in scena di un testo fondamentale nella storia del teatro, il Giulio Cesare di William Shakespeare, ma interpretandolo liberamente e conservando il dialetto di provenienza di ognuno. Tale operazione ha dunque permesso al testo del drammaturgo di assumere sfumature nuove e un realismo di un’originalità e freschezza inaudite. Tra tutti i testi teatrali, i due registi hanno scelto proprio il Giulio Cesare, perché si tratta di una storia italiana di vigoroso idealismo e amore verso la Patria, e soprattutto perché tale testo ha la forza di mettere in luce temi sempre attuali, come l’amicizia, il tradimento, l’assassinio e il tormento che il carcerato è costretto a rivivere ogni giorno nella solitudine della sua esistenza.

Paolo e Vittorio Taviani hanno girato nel carcere di Rebibbia, scegliendo Cesare, Bruto, Cassio, Antonio, Lucio, direttamente tra i detenuti (dal talento strabiliante), grazie all’aiuto del loro regista interno, il già citato Cavalli, uomo di grande talento che ha anche interpretato se stesso nel film. “Abbiamo cercato di mettere a confronto l’oscurità della loro esistenza di condannati con la forza poetica delle emozioni che Shakespeare suscita: l’amicizia e il tradimento, l’assassinio e il tormento delle scelte difficili, il prezzo del potere e della verità. Entrare nel profondo di un’opera come questa significa guardare dentro se stessi”. È in queste parole, espresse dai due registi durante la conferenza stampa del film (tenutasi al cinema Nuovo Sacher di Nanni Moretti, unico distributore del film), che risiede il senso profondo di Cesare deve morire, ossia nell’umanità svelata dei detenuti, che hanno messo in scena sul palco e, quindi sullo schermo, il Giulio Cesare, rendendolo tanto più potente grazie alla verità del loro vissuto di criminalità e di reclusione. Attraverso la preparazione della messa in scena e allo studio del testo di Shakespeare, ognuno ha conosciuto una parte di se stesso, fino a quel momento celata. E così la poesia delle potenti parole del grande vate s’incontrano con un vissuto contemporaneo dei più tormentosi, riempiendo il cuore dell’interprete e donandogli una forza e un’intensità quasi magiche. Negli occhi di Cesare, di Bruto, di Cassio si percepisce chiaramente una tristezza così intensa da far crollare ogni cinismo pregiudiziale dello spettatore. È come se l’arte purificasse dalle colpe e rendesse, per un attimo, tutti uguali, e soprattutto liberi dentro. Del resto anche la definizione aristotelica sottolinea la funzione educativa, di purificazione, catartica dell’arte.

Da quando ho conosciuto l’arte, questa cella è diventata una prigione”, dice Cosimo Rega, interprete di Cassio, alla fine del film. Una frase significativa che rende evidente il valore libertario dell’arte in un contesto opprimente e annichilente: questa è il merito dell’ultima opera cinematografica dei fratelli Taviani, un lavoro importantissimo, promosso anche dal regista Fabio Cavalli, che da dieci anni ha la responsabilità delle attività teatrali nel penitenziario di Rebibbia. “Un’attività che coinvolge oltre 100 reclusi divisi in tre compagnie, che ha visto sfilare 22 mila spettatori e 13 produzioni teatrali, ospitate anche all’esterno. Ma in 10 anni – dice Cavalli - ho visto solo giornalisti di cronaca nera a cui interessavano più i reati che avevano commesso questi detenuti, che non la bellezza dello spettacolo messo in scena. I Taviani invece hanno gettato la luce dei riflettori su un mondo che pur esistendo da tempo, fatica a farsi conoscere. Ora possiamo invertire la tendenza a non capire che l’arte può annidarsi ovunque, perché l’arte è emblema della vita ed è l’unico elemento che riesce ad allineare tutti sullo stesso piano”.

Dunque, di là dalle scelte registiche perfette, come il bellissimo lavoro sul bianco e nero del direttore della fotografia Simone Zampagni, che ha permesso di non scivolare nel naturalismo televisivo, e una musica protagonista composta dal connubio di Giuliano Taviani e Carmelo Travia, fatta di pochi strumenti come il sassofono e il corno, con l’ausilio dell’orchestra, quel che resta di Cesare deve morire è l’emozione percepibile negli sguardi dei suoi interpreti, finalmente consapevoli che anche per loro esiste una possibilità di redenzione. Non possiamo che dire grazie ai Taviani per questo grande esempio di cinema d’autore, e ringraziare anche uomini come Fabio Cavalli, come il Direttore del Penitenziario romano Carmelo Cantone e le associazioni La Ribalta – Centro Studi E. M. Salerno, che ogni giorno si occupano dei bisogni altrui, arricchendo non solo le vite di questi detenuti, ma rendendoci tutti migliori.

Valentina Calabrese


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