Dopo l’apprezzato e riuscito Fortapasc, Marco Risi cerca di rimanere sullo stesso filone di cinema sociale-politico. Ma se Fortapasc funzionava perché si cibava della cronaca e della storia vera di Giancarlo Siani, Cha cha cha si arena su un plot fiction che sin dall’inizio zoppica. L’impuro e il marcio ci sono, ma allungano incerti il collo sullo Stato (che rimane sullo sfondo) per finire col confinarsi in una vicenda privata che non ha vera suspense. Proprio come il celebre ballo latino-americano del titolo, Risi procede a piccoli passettini, ma impauriti, barcollanti, di chi vorrebbe fare bella figura con in testa una coreografia poco chiara.
Pur con una sequenza già diventata un cult, ovvero la lunga scazzottata in penombra domestica tra un Luca Argentero in nudo integrale e tre spietati aggressori, il film non convince per le scarne psicologie dei personaggi e la sbagliata scelta degli attori che li interpretano. In primis lo stesso Argentero ha una faccia da buono che poco s’addice al duro e nebuloso ex poliziotto dal passato macchiato. Le sue smorfie sono ancora da C’è chi dice no, suscitano sorriso e non affascinante severità. Al suo fianco Marco Risi tira fuori dall’oblio Eva Herzigova. Per lei una prova manierista, fastidiosa, forzata. Insomma, se era nell’oblio un motivo ci sarà pur stato. Tra tutti forse si salva in corner Claudio Amendola, il cui volto scavato e lo sguardo in cagnesco hanno forse ancora qualcosa da dare ad un piccolo cinema di genere.
Con Cha cha cha è come se Risi avesse voluto raccontare un’epoca e fare un’accusa, ma non mette a fuoco né la prima né a chi è rivolta la seconda. E’ come se non credesse fino in fondo nel suo film. Peccato, perché poteva essere il regista giusto per questo esperimento su un genere dimenticato nel panorama italiano…
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