Sapere di essere malato di còrea di Huntington, ma non accorgersi ancora dei sintomi. Raccontare la propria vita, il proprio destino di malattia, per dare una scossa ai giovani ricercatori di tutto il mondo. Questo è Charles Sabine, giornalista ed ex reporter di guerra.
Hai meno di 35 anni? La bella notizia è che hai buone possibilità di vivere per più di cento anni. La cattiva notizia è che hai circa il 50% di probabilità di soffrire, prima o poi, di demenza o di malattie neuro-degenerative Puoi trattare con serenità argomenti come questi solo se nella vita hai già visto in faccia la morte, la paura e la malattia, e hai imparato a conviverci. E un reporter di guerra che ha sentito esplodere bombe a pochi metri di distanza, un giornalista che è stato nel luogo di riconoscimento delle vittime di uno tsunami, un figlio che ha assistito i genitori nella loro malattia, ormai con la morte e il dolore ha imparato a conviverci.
Ma non solo, ha imparato ad accettare la sofferenza e a viverla senza paure. E forse nulla è così terribile come quando ti diagnosticano una malattia, soprattutto se è degenerativa e incurabile.
“There is nothing you can do for your disease, Charles, just try to live you life in the best possble way”
È accaduto sette anni fa, e da allora Charles Sabine gira il mondo per raccontare la storia sua e della sua famiglia. Non solo dei suoi genitori, ma anche del suo fratello maggiore, cinque anni più anziano di lui e già visibilmente malato. Charles conosce già il suo destino, e sa già che per lui non ci sarà cura. Ma questo non vuol dire che la cura non esisterà mai, la ricerca potrà un giorno dare risposte positive, e curare quella che oggi è una malattia inguaribile.
Secondo Charles la vita non è solo black and white, perché esistono malattie curabili e incurabili oggi, ma ciò che oggi è incurabile potrebbe non esserlo più un domani. E possono contribuire non solo i ricercatori, ma anche gli stessi malati. Esiste un programma, chiamato Track HD, che raccoglie dati clinici di malati di còrea di Huntington che volontariamente di sottopongono a test clinici per monitorare il decorso della malattia e aumentarne la comprensione.
Perché nella medicina, finora, non abbiamo curato quasi nulla. Non sappiamo curare il cancro, l’AIDS, e nemmeno l’influenza. Ma sappiamo trattarne i sintomi, e ridurli. Lo stesso potrà un giorno accadere anche per la còrea di Huntington. Per questo ci sono migliaia di persone che dedicano la propria vita affinché questo succeda, più in fretta possibile.
Perché parlare della còrea di Huntington? Oggi i malati sono spesso isolati, la malattia non è conosciuta, e quasi nessuno ne parla. Parlarne è solo il primo fondamentale passo verso la cura. Ma del resto si parla poco anche di guerra, di povertà, di sofferenza.
Il silenzio in sala, durante la presentazione di Charles Sabine, è impressionante. Gli unici rumori che si sentono sono il battito di tasti sulle testiere e gli scatti di fotografie. Il messaggio di Charles è un messaggio forte, che lascia il segno. Un messaggio che invita a non sprecare il proprio tempo. Con la consapevolezza che il tempo, per ciascuno di noi, è limitato. Ci sono battaglie che ha senso combattere, e altre no. E le battaglie per curare o migliorare la vita di altri uomini valgono sempre la pena di essere combattute.