Scrive Pezzotta:
"La critica dovrebbe aiutare a far sì che un autore incida nella cultura. Solo che nessuno, com'è noto, ascolta più la critica. Non è solo una mancanza di spazio, potere, prestigio, eccetera. Manca un linguaggio condiviso e verificabile. (...) Se la critica parla di un autore, la qualità delle argomentazioni non basta: perché le buone argomentazioni non esistono più. Vale ancora il criterio dell'innovazione formale? (...) E quello dell'incidenza politica? Meglio tacere. Siamo nell'era postmoderna, tutto vale tutto, chiunque può proclamare autore chiunque, mettere sullo stesso piano Spielberg e Sembène, ed essere ugualmente attendibile".
"E poi la critica, in realtà, non parla di Naderi o di Lav Diaz: semplicemente, non ha tempo, ha altro a cui pensare. Se ne riempiono la bocca, ben che vada, i frequentatori dei festival duri e puri (...) che, se hanno capito come girano le cose, da grandi sognano di diventare non critici ma direttori di festival, e allora imporre al mondo (ma che mondo) il loro gusto. E tutto finisce lì: in un orticello asfittico in cui l'investimento identitario, la ricerca dell'esclusiva e lo sfoggio della scoperta creano cortocircuiti mefitici. La colpa non è certo degli autori in questione. (...) Ma il cinema intorno a loro è cambiato, e gli autori non servono più, se non a promuovere il prestigio di chi li scopre".E ancora:
(...) al di fuori di questo piccolo mondo, che modo ha un autore di incidere nella cultura e nella società che lo circonda? (...) Ma che autore è quello che filma per un pubblico così ristretto? Si dirà che la mancanza di pubblico è caratteristica di tante arti, che tanti scrittori sono rimasti e rimangono senza lettori, ma ciò non diminuisce il valore, la necessità della loro opera. Benissimo, ma il cinema è sempre stato un'arte di un altro tipo, un'arte a forte incidenza sociale e ricaduta culturale, un'arte che ha lottato contro la censura, che ha affiancato o combattuto le ideologie. Il cinema, nel Novecento, ha davvero contribuito a cambiare il mondo. O almeno l'arte. Il fatto che autori come Lav Diaz siano oggi privi di pubblico, di contesto e di critica, mostra come il cinema vada verso la museificazione. Lav Diaz come Peter Kubelka: qualcosa di innocuo e di decorativo, di privato e non più sociale, da esibire in un museo, per pochi eletti, e di cui sostanzialmente non importa un accidente a nessuno.
(Alberto Pezzotta, La critica e il fallimento degli autori, Cineforum 496, pp. 48-53)Che altro dire? Niente. Ineccepibile, direi.