Che cos’è il Jobs Act?

Creato il 29 gennaio 2014 da Salvatore Cugliari

Renzi è partito in quarta! Dopo aver vinto le primarie il “rottamatore” ha proposto, ha mediato e ha avviato (senza di lui, forse, avremmo dovuto attendere un altro paio di mesi) le trattative per la legge elettorale. Il carisma si può dire che proprio non gli manchi: chi avrebbe avuto il coraggio di invitare il Cavaliere (unico possibile interlocutore) nella sede storica del partito per trattare e discutere di legge elettorale? Renzi, insomma, attraverso questo gesto, ha ricoperto il Cavaliere di normalità. Basta aver timore, basta evitarlo e basta sottrarsi al confronto. Berlusconi non bisogna temerlo, bisogna affrontarlo. Bisogna smetterla di fare i bambinoni schizzinosi. Nel PD, quasi quasi, sembra che, settimanalmente, abbia luogo un grosso pigiama party in cui, oltre a brindare e strafogarsi, al momento della nanna, si ha una paura matta dell’”Uomo Nero”.

Renzi, comunque, nel discorso dell’8 gennaio ha presentato il suo programma e ha argomentato e discusso su diversi punti davvero molto interessanti che, però, sono stati “oscurati” dalla nascita del, così detto, Italicum.

Ciò che sicuramente mi ha più colpito del programma di Renzi è, senza ombra di dubbio, il Jobs Act. Forse sarà la vena fonica statunitense o forse sarà che questo punto del programma mette in primo piano il lavoro, ma sta di fatto che questo aspetto mi intriga e mi garba parecchio.

Che cos’è – Il Jobs Act non è altro che, come si può facilmente evincere, una legge, o meglio un insieme di proposte concrete (almeno dovrebbero esserlo), per il lavoro. La vena fonica statunitense (che tanto mi piace) rimanda palesemente alle politiche d’oltreoceano: nel 2011, infatti, il presidente americano Barack Obama aveva presentato in un discorso trasmesso a reti unificate il suo American Jobs Act.

Quali sono i suoi punti chiave? – I punti principali del Jobs Act renziano sono i seguenti:

  • Taglio dell’Irap del 10 per cento finanziato dall’aumento dell’aliquota sulle rendite finanziarie;
  • Ridurre il costo del 10 per cento per le aziende attraverso un taglio degli “incentivi cosiddetti interrompibili”;
  • Assegno universale per chi perde il lavoro, con obbligo di seguire un corso di formazione e di non rifiutare più di una proposta di lavoro;
  • Obbligo di rendicontazione online ex post per ogni voce dei denari utilizzati per la formazione professionale finanziata da denaro pubblico;
  • Eliminazione della figura del dirigente a tempo indeterminato nel settore pubblico;
  • Estrema trasparenza all’interno dell’apparato pubblico;
  • Nuovi posti di lavoro per sette settori: Cultura-Turismo-agricoltura, Made in Italy, Ict, Green economy, Nuovo Welfare, Edilizia , Manifattura;
  • Presentazione entro otto mesi di un codice del lavoro (da tempo richiesto a gran voce);
  • Riduzione delle varie forme contrattuali (attualmente oltre 40);
  • Agenzia Unica Federale che coordini i centri per l’impiego, la formazione e l’erogazione degli ammortizzatori sociali;
  • Legge sulla rappresentatività sindacale e rappresentanti eletti dai lavoratori nei Cda delle grandi aziende.

In conclusione – Sarà la solita proposta post-elettorale che non verrà mai e poi mai concretizza? Sarà una presa in giro? Il Jobs Act è effettivamente fattibile o è un’utopia? Beh, sarà il tempo a dircelo. Il Jobs Act ha indubbiamente diverse lacune ma rimane, attualmente, una valida e importante proposta. “Si poteva fare meglio? Sì, certo. Ma fino ad ora non si era fatto neanche questo”.