È da qualche anno che si svolge un dibattito in Italia, di recente riaffacciatosi durante il festival dell’Economia di Trento[1], sulla “natura” economica dei figli e sulla conseguente valutazione delle decisioni familiari all’interno del sistema di welfare italiano.
L’essenza di questo dibattito ruota in definitiva attorno alla domanda iniziale: che cosa sono i figli? È evidente che, volendo mantenere una terminologia economica, i figli sono allo stesso tempo dei “beni” privati e pubblici a seconda della prospettiva adottata: microeconomica nel primo caso e macroeconomica nel secondo. Ma è altrettanto evidente che i figli non sono e non possono essere considerati un bene economico, paragonabile ad un qualsiasi altro bene o servizio. La decisione di una coppia di programmare la nascita dei figli, oltre che essere influenzata dal reddito, rimanda ad un universo di motivazioni molto più grande di quello strettamente economico. Solo per citare qualche esempio, questa decisione è orientata da modelli culturali o religiosi, dal desiderio di continuità rispetto alle generazioni future, dalla proiezione di aspettative e speranze di realizzazione professionale. Allo stesso tempo però non è indifferente per un contesto nazionale il fatto che la maggioranza dei suoi componenti in età riproduttiva decida di non fare figli. Le decisioni individuali e di coppia hanno un impatto significativo sul contesto macroeconomico ed è per questo che lo Stato, soprattutto nel caso italiano, dovrebbe guardare alle due o tre generazioni future per cercare di invertire questa preoccupante denatalità e per rendere possibile tutte quelle decisioni riproduttive che sono ostacolate dall’incertezza lavorativa e dalla scarsa disponibilità di servizi di cura per le famiglie. Il modello di welfare italiano è in definitiva perfettamente coerente con l’impostazione di Ichino dato che i figli sono un evento che ricade totalmente nella sfera privata e, con maggiore intensità negli ultimi anni, coinvolge il gruppo familiare di riferimento. I servizi di cura nei primi anni di vita sono una “questione” strettamente familiare che coinvolge la coppia e, in assenza di servizi disponibili sul territorio o di un reddito sufficiente per i servizi privati, la rete familiare informale. Lo Stato di fatto sta delegando le famiglie alla gestione dei servizi di cura nei primi anni dell’infanzia ma questo sistema tradizionale si è inceppato, non funziona più ed effettivamente, come auspicato da Ichino, non si fanno più figli.
[1] http://2012.festivaleconomia.eu/
[2] http://27esimaora.corriere.it/2012/06/02/?post_type=articolo