Scusatemi l'intervento per fatto personale, ma le notizie che vogliono Cesare Prandelli alla Nazionale, da conterraneo non mi lasciano indifferente. Non sono amico di Prandelli, ma di lui ricordo le partite del lunedì all'oratorio sotto casa con Antonio Cabrini e altri lombardi della Juve. Non ho fatto mai grandi discorsi con lui se non un fugace cenno di saluto quando ci si incrocia in un paese che sta tutto intorno ad una piazza. Non ho quindi scoop da vendervi, esclusive di corridoio da propinarvi. Mi piace, però, l'idea di un Prandelli specchio e ambasciatore del nostro calcio, di un Prandelli che riesca a fare quei discorsi e quelle scelte fino ad ora fatti in squadre di club anche in una vetrina di prestigio come quella di una Nazionale titolata qual è la nostra. Di un allenatore che sappia lavorare bene fuori e dentro il campo e in un calcio con qualche problema come il nostro questo non è secondario. «I giovani in lui vedono un punto di riferimento non solo per quello che fa sul campo, ma anche per il comportamento fuori. Cesare privilegia sempre il lato umano» racconta Luciano Zanchini oggi a Vincenzo Corbetta su Bresciaoggi. E forse questo è il valore aggiunto del cambiamento in un ambiente dove sì, contano i risultati, ma anche lo stile puo aiutare."Dì pure a Prandelli che se vòle, noi qui a Firenze lo si fa pure sindaco"
Colloquio tra un mio amico di Orzinuovi e un suo collega di Firenze
Prandelli è l'uomo giusto, scrive Emanuele Gamba su Repubblica.it perchè: "Stile, etica, qualità professionali, virtù morali: sono quattro ottimi motivi per sperare che Cesare Prandelli diventi il cittì della nazionale italiana e di tutti i tifosi italiani. Molti dei suoi predecessori, che abbiano vinto o perso o entusiasmato o deluso, hanno soprattutto diviso, magari appoggiando sulle divisioni la leva della loro forza. Prandelli promette di unire perché nella sua carriera non ha mai alimentato odio ma offerto rispetto, non ha cercato lo scontro ma il confronto ed è riuscito a farsi apprezzare per ciò che faceva (a Parma e a Firenze soprattutto) ma anche per come lo faceva, per quello che diceva ma anche per come lo diceva. È abbastanza giovane per imporre una ventata di novità, è abbastanza esperto per resistere nel frullatore dentro il quale viene sballottato ogni cittì, ha sufficiente personalità per gestire i capricci dei giocatori e sufficiente carisma per farsi ascoltare anche da quelli un po’ duri d’orecchie. Alla nazionale non s’è mai candidato, ha anzi quasi subito il peso di questa candidatura, finendo per accettarla perché una serie di circostanze, e di coincidenze, lo hanno spinto verso la panchina azzurra senza che la sua smania di arrivarci sia stata la principale: anche questo può essere un punto a suo vantaggio. Dovrà però imparare a selezionare, invece di allenare: quello del cittì è un mestiere diverso e Prandelli, abituato a migliorare e migliorarsi attraverso i dettagli della quotidianità, sa che dovrà cambiare qualcosa di se stesso, dei suoi metodi, dei suoi progetti e anche dei suoi sogni. Di conseguenza, sarà fondamentale la sua capacità di imparare un lavoro nuovo. E il suo motto potrebbe essere: l’unità fa la forza".
Mi sembra un'ottima sintesi di questa storia di Cesare Prandelli in azzurro e chissa che un giorno non incontri anch'io, come è accaduto ad un mio amico con un collega di Firenze, un Italiano che mi dica: "Dì pure a Prandelli che se vuole, noi italiani lo facciamo anche presidente della Repubblica". E se l'alternativa è Silvio Berlusconi, allora da orceano non mi resta che gridare: "Forza Cesare". Comunque vada.