La letteratura personale sulle notti di capodanno potrebbe occupare un blog a sé, specie per chi ne ha almeno una trentina da raccontare e le altre quattordici magari non se le ricorda più (e non è detto che siano quelle più cronologicamente remote), perché anche se non ce ne importa nulla ed è una sera come tutte le altre poi alla fine qualcosina la facciamo sempre, anche solo andare a dormire presto per ripicca. In genere un bicchiere di qualcosa con amici e parenti lo si beve, si tranquillizzano i gatti nel panico da botti, si osservano le composizioni cromatiche degli spettacoli pirotecnici sovrapporsi al pezzo di luna rimasto. Ciascuno di noi ne ha almeno uno indimenticabile, uno deprimente, il resto sono per lo più sono così così, che poteva andare meglio ma alla fine non c’era nulla che avrebbe potuto farlo andare diversamente. Poi ci si sveglia sempre prima di tutti gli altri anche se ci si è addormentati alle tre del mattino, si spalanca la finestra e si osserva fuori il vuoto freddo malgrado il sole, con residui di petardi gettati per strada. E a quel punto si fa di tutto per non canticchiare la canzone sul primo dell’anno più famosa – quella di quel noto quartetto iralndese, per intenderci – ma, malgrado gli hard disk strapieni di musica e la collezione di vinile a disposizione, non viene in mente altro e la cosa amareggia non poco. Diamine uno si tiene così tanto aggiornato per scegliere alla fine come sottofondo sonoro mentale il pop degli U2. E poi niente, sostanzialmente è solo una domenica con tutta la sua domenicosità al cubo ché domani ci sarà la conferma che l’improduttività è stata solo una concessione temporanea. Per fortuna, prima di chiudere il post, una canzone a tema viene in mente, difficile però cantarla a meno che uno non sappia urlare così (e oddio, comunque avere l’estensione vocale di Bono non è che sia da tutti). Ah, dimenticavo, buon anno.
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