Stamboulis e Costantini sviluppano il racconto lungo due linee: una dedicata direttamente a Gramsci, con estratti della sua biografia e citazioni dai suoi scritti; l’altra, che segue le vicende di Jacopo, studente di Scienze Politiche a Torino, che sta lavorando alla sua tesi su “Gramsci e la filosofia della prassi“. La vicenda è innescata da due eventi, di natura assai diversa, che fanno riconsiderare a Jacopo tutta la propria esperienza e le proprie prospettive. Prima si trasferisce in un appartamento, dove una cassapanca ospita gli spiriti di un uomo (forse Gramsci stesso?) e una donna, che entrano con disinvoltura e senza troppa delicatezza nella sua vita. Poi, durante un seminario all’Università, scopre che parti della sua tesi sono state utilizzate (copiate, rubate!) dalla sua relatrice.
Le due linee narrative si alternano lungo tutto il volume, ma non si amalgamano, né riescono a farsi da reciproca sponda in modo da amplificare le rispettive potenzialità: restano giustapposte e scorrono parallele, così che le parti su Gramsci finiscono per comporre un testo sostanzialmente didascalico, mentre quelle contemporanee scorrono senza particolari emozioni o spunti di riflessione. Questa poco fruttuosa interazione è probabilmente conseguenza della mancanza di una idea guida abbastanza forte, di una visione da comunicare o, magari, di un’idea precisa del lettore destinatario dell’opera. Cena con Gramsci resta da una parte ancorato a citazioni, spesso molto interessanti, ma non messe a frutto nello sviluppo della storia; e dall’altra segue Jacopo di scena in scena in maniera certo elegante, ma senza mai costringere il lettore a un confronto con il testo.
Duplice è anche l’approccio grafico. Da una parte, abbiamo tavole ad immagine unica, costruite con elaborazioni di fotografie, dipinti e manifesti che fanno da sfondo a didascalie: voce narrante fuori campo, quando riguardano Gramsci; voce narrante di Jacopo in prima persona, quando riguardano l’azione nel presente. Dall’altra, tutte le scene al presente con personaggi in scena sono realizzate tramite silhouette stilizzate e campiture di colore, la cui ristrettissima palette contrasta con la ricchezza cromatica delle elaborazioni.
E proprio il colore è l’elemento tramite il quale Costantini modula l’intensità emotiva delle scene, ben trasmettendo il senso di claustrofobia e di indeterminazione di Jacopo (ma bella la resa della sua rabbia durante l’incontro con la relatrice, dove lo sfondo passa dall’arancio al rosso), che contrasta con la gamma di emozioni, sensazioni e forse anche potenzialità evocate dalle parole di Gramsci e dai paesaggi (Torino, la Russia, i volti antichi della vita del pensatore).
Cena con Gramsci risulta quindi un esperimento molto interessante, tecnicamente ben costruito, ma che risulta freddo e a tratti didascalico, e dove il pensiero di Gramsci appare come testimonianza di un’epoca passata, che poco può dirci sul nostro presente. Fra le tante sue idee (vale la pena sottolineare che la ricchezza del suo pensiero rende Gramsci uno degli intellettuali italiani più studiati all’estero), per promuoverne una riscoperta, se ne potevano forse proporre aspetti più direttamente attuali: le sue discussioni con Togliatti sono storicamente importanti, ma anche storicamente determinate. Si poteva forse sfruttare di più il Gramsci giornalista, abile polemista e critico della società?
Pagine ed estratti più facilmente applicabili al presente avrebbero forse offerto maggior stimolo a mettersi sulle sue tracce, che è in fondo l’obiettivo dichiarato dell’iniziativa e, sebbene non espresso chiaramente, forse la stessa conclusione di Jacopo al temine del racconto.
Abbiamo parlato di:
Cena con Gramsci
Elettra Stamboulis, Gianluca Costantini
Becco Giallo, 2012
128 pagine, brossura, colori – 15,00€
ISBN: 9788897555117
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