Che fare?
Bryan, nato al Maggiore di Parma, il giorno di Natale, presentava, purtroppo, una grave malformazione: non ha le gambe, dal ginocchio in giù. Tutti i giornali si sono occupati di questo fatto. I genitori sostengono che nessuno aveva prescritto un'ecografia morfologica, cioè un esame che, con buone probabilità, avrebbe permesso di accertare la malformazione entro i termini previsti dalla legge, per un eventuale aborto, e pensano di chiedere i danni ai medici.I medici, come sempre, si sono dichiarati assolutamente innocenti, e in regola con gli accertamenti dovuti, anche se è sorto un mistero intorno ad un'ecografia al 5° mese, operata da un ginecologo con precedenti per incompetenza e negligenza.. Si è scatenata, intorno al caso, una ridda di ipotesi, una corsa allo scaricabarile, tra innocentisti e colpevolisti, tra i ginecologi ospedalieri e quello privato, che aveva seguito la puerpera. Ma, a parte le vicende giudiziarie, con gli accertamenti di colpe, errori ed omissioni, avendo saputo in tempo della malformazione del nascituro, i genitori avrebbero consentito che Bryan nascesse o avrebbero optato per un aborto? Ed allargandomi dal caso specifico ai milioni di altri, simili o ben peggiori, drammatici, se non tragici, ancora una volta mi sono chiesto se, conosciute le malformazioni del feto, che è pur sempre un essere umano in nuce, sia legittimo, o meno, intervenire per eliminarlo. Al di là degli slogans pro-life o pro-choice, sbraitati dai soliti talebani delle due parti avverse, al posto dei genitori che debbono decidere per una delle due opzioni, un aborto o la nascita di un essere, dalla vita grama, sottoposto al costante accudimento parentale, io non saprei, così, a freddo, che cosa mai decidere. Qualsiasi genere di aborto, e non solo per la donna, credo che sia un evento tragico, tale da segnare per sempre la vita di una donna e di chi le sta accanto. Tutte le religioni, seguite oggi sul pianeta, sono contrarie ad un intervento del genere, o lo ammettono solo nei casi di grave pericolo per la madre. Ripeto, io non saprei che decidere, vivrei un inferno di dubbi, etici, filosofici, religiosi. E soprattutto, mi chiedo che cosa mai potrebbe scegliere sulla sua sorte, se potesse palesarlo, il nascituro, destinato a morire ancor prima di nascere, o entro poco tempo dopo la nascita, o a condurre un'esistenza di sofferenze, proprie ed altrui, di emarginazione, di rinunce. Forse i genitori di Bryan potrebbero nutrire qualche speranza, avendo dinnanzi gli esempi di Pistorius e di Zanardi. Ma non vorrei essere nei panni di quei genitori che debbono accudire, finché ne saranno in grado, dei figli, incapaci di ogni autonomia, di relazioni sociali, di badare ai bisogni più elementari ed alle esigenze minime di una vita, degna di essere definita tale. E cerco di pensare anche a chi ha deciso di interrompere la gravidanza, per motivi più o meno leciti, giustificabili, approvabili, ma che rimane con il peso di aver deciso per la fine di un bambino mai nato. Nei panni di un ginecologo, non so se me la sentirei di praticare un aborto, se non nel caso di pericolo di vita per la madre o di malformazioni abnormi e letali del feto. “E cade la pioggia e cambia ogni cosa, la morte e la vita non cambiano mai: l' inverno è tornato, l' estate è finita, la morte e la vita rimangono uguali.” Franco Bifani