Questa profonda riflessione nasce dalla lettura di Ready Player One di Ernest Cline (che in Italiano è solo Player One, vai a sapere perché). Una recensione approfondita del libro la trovate sul Minuetto Express.
Secondo il mio modesto parere, Player One non è un gran che come romanzo. La storia è abbastanza piatta e prevedibile e Cline spesso si lascia prendere la mano, divagando troppo e togliendo ritmo alla narrazione. I difetti del romanzo sono però ampiamente bilanciati dal bagaglio di ricordi che ci viene scaricato davanti dall’autore, che riversa nel suo romanzo tutto il suo fanatismo per i ruggenti e pixellati anni ’80. Chi è cresciuto in quell’epoca non può non compiacersi di fronte alle migliaia di riferimenti ed ammiccamenti alla musica, ai giochi e ai videogiochi, al cinema con cui siamo cresciuti. Frastornati da queste bordate di nostalgia e amarcord è fin troppo facile lasciarsi andare e sorvolare, magari a cavallo di un drago, sulla non eccezionalità della trama.
Player One ha scatenato in me una marea di ricordi, tra questi mi è tornato alla mente un vecchio numero di una rivista di videogiochi (poteva essere The Games Machine, ma chi si ricorda). In quel numero c’era un servizio sulla “realtà virtuale”, corredato di omino (o donnina?) in tutina nera piena di sensori, guanti e visore. In quegli anni (fine ’80-inizio ’90) la realtà virtuale era una vera e propria ossessione per noi piccoli nerd, eravamo a cavallo dell’epoca d’oro del cyberpunk. Tron (1982) era ormai un grande classico, i romanzi di Gibson pure, Cyberpunk era uno dei giochi di ruolo più in voga, i videogiochi diventavano sempre più fighi e sembrava chiaro che sarebbe stata solo questione di tempo prima che potessimo davvero mettere mano alla nostra tutina e al nostro visore.
Enter the mat… no aspetta, quella è un’altra storia.
C’è da dire che già all’epoca qualcuno ci aveva provato a spacciarci dei controller alquanto farlocchi per dispositivi per la realtà virtuale. Come non ricordare il fallimentare Nintendo Powerglove, che non riuscì a vendere neanche dopo quella colossale, adorabile marchetta di “The Wizard” altrimenti noto come “Il piccolo grande mago dei videogames” (che il nostro Cline non cita mai esplicitamente, ma il romanzo secondo me prende a piene mani anche da lì). Il Powerglove era dotato di fibre ottiche sensibili alla flessione delle dita e di sensori ad ultrasuoni per seguire il movimento della mano. Pare che i risultati fossero imbarazzanti.
“I love the powerglove… it’s so bad.”
Guanti quindi, ma anche orribili visori dotati di piccolissimi schermi a cristalli liquidi con risoluzioni pessime e praticamente nessuna capacità di reagire ai movimenti della testa. In pratica era come avere due piccoli televisori incollati davanti agli occhi. L’immersione nel mondo virtuale era scarsissima e l’epilessia, o almeno un torcicollo, assicurati. Anche i visori non riuscirono a far breccia nei cuori dei piccoli videogiocatori, nemmeno facendo leva sulla grande fuga verso la realtà virtuale:
Questi sistemi erano decisamente primitivi, ma vista l’evoluzione rapidissima dell’informatica in quegli anni sembrava lecito supporre che saremmo presto arrivati a mettere mano davvero su quelle tecnologie. Oggi, a distanza di circa vent’anni ho la sensazione che qualcosa sia andato storto.
Abbiamo i mmorpg e Second Life per gettare la nostra vita online, ma l’interfaccia è sempre quella tradizionale: mi siedo al pc e gioco. Abbiamo il Kinect per controllare il nostro avatar senza bisogno di nulla. Il Kinect riconosce la mia faccia, il che mi inquieta sempre un po’, mi osserva e capisce tutti i miei movimenti. Ok, però nessuno mi distrae dal fatto che sono io che zampetto davanti al televisore: non c’è feedback (i risentimenti muscolari sono assicurati, come con la Wii) e non c’è “immersione” nel videogioco. Ci sono i cellulari, anzi gli smartphone, con la realtà aumentata, che ci fanno girare per strada con l’occhio fisso sul touchscreen rischiando di cadere nei tombini aperti. C’è il treddì, ma anche qui è difficile dimenticarsi di essere davanti a uno schermo con dei fastidiosi occhialini e, come diceva qualcuno più saggio di me, il treddì ha già fallito trent’anni fa.
E il visore? I guanti? La tutina aptica con i sensori?? C’è qualcosa, ci sono i prototipi, dei dispositivi costosissimi che possono servire per le operazioni chirurgiche, per riparare le astronavi da remoto e per addestrare i paracadutisti. Nelle nostre case, però, non è arrivato nulla. Il mondo occidentale sta andando a rotoli con la crisi, il pianeta potrebbe collassare a causa dell’inquinamento esattamente come nei peggiori scenari cyberpunk e noi non abbiamo neanche un visorino, un occhiale che ci proietti le cose direttamente nella retina, una presa usb nel collo.
Dobbiamo aspettare ancora? Io non mi rassegno.
Credits: Retro Scan of the Week