Buona parte di coloro che oggi hanno un blog o postano costantemente le loro esperienze e le loro emozioni in luoghi d’incontro virtuale (sottoscritto incluso), prima che tutto ciò fosse possibile erano abituati a tenere un diario, o una qualche altra forma di memoria storica con cui appagare quel naturale, umano desiderio che abbiamo tutti di conservare noi stessi attraverso la registrazione dei fatti e delle reazioni che essi ci hanno scatenato. Adesso il racconto personale si è trasferito in digitale, ed è diventato pubblico, di immediata fruizione per amici, conoscenti e sconosciuti. Così è inevitabile che dalle proprie pagine personali scompaiano tutte le componenti che ci causano vergogna, imbarazzo, paura, vale a dire tutti quei lati nascosti e inconfessabili che, invece, del diario erano la componente essenziale.
Una volta, insomma, parlare a un quaderno intimo costituiva il modo migliore per liberarsi dai pesi e allo stesso tempo fare una qualche forma di percorso interiore. Adesso, invece, spendendo su Facebook e cugini vari le energie prima dedicate all’autoconfessione, va a finire che inneschiamo il meccanismo opposto, vale a dire che più ci mettiamo in mostra nelle nostre componenti socialmente accettabili, piacevoli e “simpa”, più ci allontaniamo da quella parte di noi che, invece, sarebbe la più degna di essere esplorata.
Un uomo e una donna senza segreti, senza inconscio, senza sentimenti sgradevoli e angoli del carattere repellenti perdono la più grossa fetta della loro componente umana, diventano gradevolissimi manichini da vetrina senza più una vera interiorità.
E, che ce ne si accorga o meno, tutto ciò che non è almeno un lato oscuro e magari poco lineare, non è nemmeno granché interessante.