“Che il mio grido giunga a te” di Paolo Fazzini

Creato il 25 novembre 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Si può entrare in paradiso con le chitarre elettriche?” Il nuovo episodio documentaristico di Paolo Fazzini sembra voler dare una sorta di risposta a questa domanda apparsa su un quotidiano di metà degli anni ’60, in risposta ad un fenomeno che suscitò grande scandalo: i capelloni che cantavano e ballavano in chiesa. “Che il mio grido giunga a te” racconta e riporta alla luce un curioso filone musicale nato nella seconda metà degli anni ’60, in seno al movimento “beat”, caratterizzato da una bizzarra reinterpretazione del canto e della musica religiosa in chiave contemporanea. La “messa beat” nasce in un periodo – i sixties – di  grandi cambiamenti, che ha il sapore della rivoluzione e, come tutte le rivoluzioni, viene sentita e accolta soprattutto dal mondo giovanile, quella nicchia che proprio in quegli anni assume una propria identità nel contesto socio economico del Paese. La musica è il primo campo in cui la gioventù si esprime: dall’Inghilterra arrivano i dischi, i suoni e le bands che caratterizzano il movimento “beat”, che nel Bel Paese viene identificato con la new wave – ante litteram – dei “capelloni”.  Questo rinnovamento musicale si diffonde a macchia d’olio nel paese, facendo nascere bands, case discografiche e sale da concerti. Una tendenza inarrestabile che, come racconta il documentario, arriva fino agli oratori.

La Chiesa, anch’essa, in preda agli anni ’60 ha riflettuto sui suoi principi e dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II e la Riforma Liturgica è stato deciso di avvicinare la celebrazione eucaristica al popolo, far si che il Ministero e la vita del Credente non fossero più isolati e distinti, bensì integrati e intrecciati. Cambiamenti come la traduzione in italiano della messa, in un ottica di avvicinamento e coinvolgimento dei fedeli. I giovani vengono tenuti in considerazione e il loro movimento estetico e musicale viene introdotto nell’ambito liturgico. Nel 1965 il gruppo, ma sarebbe più consono chiamarlo “complesso”, “Gli Amici” incide, pubblica e suona la prima “messa beat”. Per l’opinione pubblica è inammissibile, inaccettabile accogliere le chitarre elettriche dei capelloni durante l’officio religioso, ma nonostante questo tra gli oratori e le parrocchie il fenomeno non si ferma, anzi si espande. Nascono complessi come I Barritas, The Bumpers, Angel And The Brains, Gli Alleluia, compositori come Marcello Giombini, case discografiche di culto come la Ariel, Edizioni Paoline e le messe beat fanno il giro del Paese. Sul finire dei sixties e con l’avvento dei successivi climi e waves musicali, questo fenomeno sembra affievolirsi e pian piano diventa un fanalino di coda della musica leggera italiana. Non viene, però, completamente dimenticato: anche negli anni 2000 alcuni nostalgici e cultori di quell’estetica – con un curioso senso per il vintage – ,  provenienti dagli ambienti del neo beat italiano, come i Complesso Gli Illuminati, Tony Borlotti e i suoi Flauers, riportano sui palchi, non solo quelli degli oratori, la messa beat.

L’improbabile unione del beat con la musica sacra, o meglio, l’adattamento del beat al contesto liturgico, è raccontata da Paolo Fazzini con grande curiosità e attenzione. Il regista sceglie di cominciare il suo viaggio dai primi ricordi e dai primi dischi di Tiziano Tarli, chitarrista de Il Complesso Degli Illuminati, personaggio che nel corso del documentario diventa una sorta di Virgilio accompagnatore in questa antitesi dell’Inferno col quale solitamente si raccontano le storie del rock. Attraverso il racconto di vari esponenti del movimento, di critici ed esperti musicali, un uso consapevole ed esteticamente evocativo di materiale  musicale, video e fotografico del periodo, “Che il mio grido giunga a te” ricostruisce perfettamente una fetta della storia della musica leggera italiana semi sconosciuta e, forse non del tutto ingiustamente, sottovalutata. Il taglio che il regista sceglie per raccontarci queste messe è quello dell’analisi puntuale e distaccata ma non fredda, attraverso cui esamina, studia e porta alla luce i dischi, i 45 giri, gli LP, le registrazioni e i suoni di un’epoca passata ricca di suggestioni e spunti che ancora oggi continua ad essere oggetto di interesse. Dai ricordi di Tarli, si passa ad una descrizione forse un tantino didascalica del clima dei sixties, fino a giungere al primo vagito di queste curiose messe, emesso da “Gli Amici” nella prima storica messa musicata dai capelloni. Il viaggio prosegue attraverso i racconti dei componenti di quegli storici gruppi che animarono il movimento come Benito Urgu e Giancarlo Martucci dei The Bumpers,  Gegè Polloni de Gli Amici, Giovanni Sabbatucci e Mauro Scaringi, i quali mettono in scena un commovente saluto alla loro gioventù. L’accento viene messo sulla grande produzione che questo filone ha stampato, inciso e suonato e che, nonostante le avversità del caso, ha difeso e conservato fino ad oggi. A rendere questo interessante scorcio d’epoca poco dinamico è la scelta stilistica volutamente ricollegata agli schemi del documentario televisivo da programma di approfondimento notturno e del clip narrativo da emittente musicale. Unica pecca, sottovalutabile in fin dei conti, per un lavoro di grande interesse, soprattutto nel finale, dove viene approfondito, dal palco al backstage, passando per la sala prove, quel che rimane di quel genere tanto curioso da diventare un piccolo culto, non solo per i credenti.

Fernando Maistrello


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