Dopo quelli di Henning Mankell, ora sto dedicandomi a quelli di Stieg Larsson. Dovevo lavorare (cioé scrivere, lavoro reso difficilissimo dalla quasi totale assenza di un capufficio), ma me la godevo troppo a continuare a leggere il giallo svedese, a lasciare scorrere il tempo senza fare nient'altro che quello, continuare a seguire la storia dei personaggi che erano in quel momento la mia famiglia e i miei amici.
E improvvisamente mi è venuta per la prima volta l'idea che non era vero che non stavo facendo niente, e non era vero nemmeno che ero da solo mentre leggevo.
Ho pensato anzi che leggere sia un benefico e generoso lavoro collettivo, o comunque fatto anche per gli altri, come i riti e le preghiere.
Avevo l'idea che il mio leggere facesse andare avanti il mondo, che in qualche modo lo tenesse in piedi, e comunque tenesse in piedi il mondo del libro che stavo leggendo. Senza di me, cioé se avessi smesso di leggere, che ne sarebbe stato della storia e dei suoi personaggi?
(da Beppe Sebaste, Panchine. Come uscire dal mondo senza uscirne, Contromano Laterza)