Che strano tipo quel Cavalcanti...

Creato il 05 febbraio 2013 da Giuseppeg
Guido Cavalcanti amava starsene per i fatti suoi, non c'è che dire. Per chi lo disturbava aveva sempre una frecciata pronta. Basti pensare a quella volta - ce lo racconta il Boccaccio - in cui sorpreso a passeggiare tra le tombe della sua Firenze da una brigata di sfaccendati, che lo irridevano per il suo ateismo, rispose loro in questi termini: "Signori miei, qui a casa vostra potete dirmi tutto ciò che volete", lasciando così intendere di aver a che fare con dei morti bell’e buoni. La stessa chiusura la ritroviamo pari pari nei suoi versi, con la stessa concisione, la stessa capacità di colpire dritto il bersaglio:
"Voi che per (attraverso) gli occhi mi colpiste 'l coree destaste la mente che dormia (dormiva),guardate a l'angosciosa vita mia,che sospirando la distrugge (la quale è distrutta a forza di sospiri da) Amore".
Avete visto? C'è proprio tutto. C'è la teoria - scientifica, per l'epoca - secondo cui l'amore è un sentimento che si accende tramite gli occhi, attraverso la vista della persona amata. Dopo di che, secondo uno sviluppo ben preciso, l'immagine raggiunge il cuore e vi attecchisce, dominando completamente le forze vitali dell'individuo. L'amore è quindi innanzitutto reminiscenza, dal momento che si sviluppa principalmente nel ricordo: è l'immagine della donna, infatti, quella che fa innamorare, non la donna vera; un'immagine caricata di aspettative e di attese. L'amore, insomma, è una questione di solitudine: sembra proprio il ritratto di Guido. A questo si aggiunge quell’accorato ‘distrugge’, che sembra andare ben oltre la dimensione della gioia amorosa. Infatti. Per Guido l’amore è scissione, dolore; è un sentimento totale che ci schiaccia e distrugge, annichilisce i nostri sensi. Ecco come si riduce il buon poeta:
“I’ vo (io cammino) come colui ch’è fuor di vita,che pare, a chi lo sguarda (guarda) ch’uomo siafatto di rame o di pietra o di legno,
che si conduca sol per maestria e porti ne lo core una feritache sia, com’egli (che egli) è morto, aperto segno (indizio)”.
Una ferita, dunque. È in questa voce un po’ fuori dal coro che si distingue la particolare poesia di Cavalcanti, particolare anche rispetto agli altri due illustri colleghi stilnovisti, Guinizzelli e Dante. Per lo stilnovismo, solo i nobili di cuore potevano realmente comprendere l’amore. Per tutti gli altri c’era il sesso, la lussuria, o poco più. Ma lo scontroso Guido - ci chiediamo - fino a che punto aveva conosciuto l’amore? Era un uomo di mondo, cortese, garbato, o era un giovane un po’ sprovveduto, appartato, uno timido con le donne? Fermiamoci qui. Tranne in rarissimi casi - nemmeno Petrarca è tra questi - la letteratura pre-romantica non va mai confrontata con la biografia, non a livello superficiale, almeno. La letteratura per quei tempi è un mondo a parte, un bello stile innanzitutto. Soprattutto per gli stilnovisti, la forma è importante, essenziale. Perciò, mio caro Guido, resta pure innamorato. Se di un’immagine o di una donna, non ci è dato di saperlo.

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