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Che vergogna l’Italia che deporta la famiglia di un dissidente

Creato il 12 luglio 2013 da Tabulerase

Alma AblyazovMezzanotte del 29 maggio , uomini armati irrompono nella villetta dei sobborghi di Roma  dove Alma Shalabayeva e la sua bambina di 6 anni avevano vissuto negli ultimi otto mesi. Altri uomini, sempre armati, circondano la villa. All’interno si sentono le loro grida “Cagna russa…”. Il cognato di Alma pestato a sangue.

Terrorizzata, la signora Alma , moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, pensa al peggio: “In quel momento ho avuto solo una sensazione : che erano venuti per ucciderci. . .ci avrebbero ucciso, senza processo e nessuno avrebbe mai saputo “.

Non le hanno uccise, le hanno “soltanto” deportate.

Come Alma racconta in una dichiarazione di 18 pagine al Financial Times, il 29 maggio è stata trattenuta presso una stazione di polizia. Due giorni più tardi, dopo essere stata detenuta in un centro per immigrati clandestini Alma e sua figlia Alua, nata nel Regno Unito, sono state trasferite su un aereo, noleggiato dall’ambasciata kazaka diretto alla capitale Astana.

Alma ha dichiarato inoltre che le è stata negata l’assistenza dei suoi avvocati nonostante la sua ripetuta richiesta di asilo politico. I funzionari italiani le avrebbero risposto: “troppo tardi”.

Troppo tardi per cosa?

La ragione ufficiale per la deportazione di Alma è il possesso di un presunto passaporto falso della Repubblica Centrafricana. In realtà, nel corso di una udienza in Tribunale, il 31 maggio,l’avv. Riccardo Olivo, ha dimostrato ai giudici la genuinità del documento.

Questi i fatti in breve. Al di là delle giustificazioni di Letta che promette indagini serie, della “condotta” di Alfano, delle lamentazioni della Bonino per non essere stata informata, la deportazione della moglie di un dissidente e della sua bimba fa fare all’Italia una gran brutta figura!

Alcune brevi considerazioni.

Secondo l’art. 1 del Protocollo n. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, “Uno straniero regolarmente residente sul territorio di uno Stato non può essere espulso, se non in esecuzione di una decisione presa conformemente alla legge e deve poter  far valere le ragioni che si oppongono alla sua espulsione;  far esaminare il suo caso; e  farsi rappresentare a tali fini davanti all’autorità competente o a una o più persone designate da tale autorità”.

Il comportamento delle autorità italiane nei confronti di Alma e sua figlia, è viziato dalle seguenti violazioni dell’ articolo citato.

1. I funzionari non hanno verificato la “legalità” della residenza di Alma Shalabayeva e Alua Ablyazova in Europa, legittimata da un permesso di soggiorno UE, rilasciato dalla Lettonia.

2. Alla detenuta non è stato consentito di chiedere l’assistenza di avvocati o di un interprete, in tal modo è stata privata del diritto di appello contro la sua deportazione. Inoltre, Alma Shalabayeva ha presentato una domanda di asilo politico ai sensi dell’art. 10 della Costituzione della Repubblica italiana, che gli ufficiali incaricati di deportarla hanno rifiutato di prendere in considerazione. Come è noto, una persona non può essere espulso dal paese in attesa dell’esito di una domanda di asilo.

3. C’è stata inoltre violazione  dell’art. 3 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e art. 19 del codice Immigrazione Italiano, secondo cui lo Stato non dovrebbe estradare una persona verso un altro Stato qualora vi siano ragioni motivate in caso di rischio di tortura o molestie a causa della razza, lingua, nazionalità , religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali.

Tanto detto, non si può non provare vergogna per l’approssimazione con cui le autorità del nostro Paese hanno condotto l’intera vicenda. Può dirsi civile un Paese il cui Parlamento si ferma a seguito della convocazione di un udienza a carico di un “cittadino” e che contemporaneamente deporta una mamma e una bimba di sei anni?


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