Jon Favreau dirige, sceneggia, produce e interpreta. Nel menù dei titoli di coda potrebbe figurare solo lui. E invece no, c’è posto per un cast stellare: Scarlett Johansson, Sofia Vergara, Dustin Hoffman, John Leguizamo, Bobby Cannavale e ovviamente l’immancabile amicone Robert Downey Jr. Se trascuriamo lo scivolone di Cowboys & Aliens, Favreau è il Re Mida di Hollywood, il magnate e il magnaccia del cinema statunitense. Ma dietro una gran quantità e potenzialità di mezzi c’è del contenuto, del sapore. I personaggi di Chef sono tutti ben tratteggiati, compresa la spassosa prova macchiettistica di Downey Jr.. La cucina sembra troppo affollata, ma non lo è, perché ciascuno ha il suo ruolo, e lo rispetta. A gestire tutti, davanti e dietro la macchina da presa, solo e soltanto lui: Jon Favreau. Chef è quindi il giusto mix tra assolo personale e bella prova d’orchestra.
Favreau mostra il suo lato “indie”, co-esistente con quello da blockbuster, dal quale con Chef vuole divincolarsi per intercettare una nuova fetta di pubblico. Oltre ai giovani amanti dei comics e teenager patiti di film fracassoni a base di effetti speciali, ora vuole conquistare un pubblico più ampio, trasversale, quello più “di mezza età”, e lo fa prendendolo per la gola. Da questo punto di vista le sequenze culinarie, quelle che zoomano sulla creazione dei piatti e ci mostrano l’attore/regista come un magistrale Chef Tony di Miracle Blade, sono divine e mettono letteralmente fame.
Vi inserisce inoltre una riflessione sui poteri dei social, in particolare Twitter. Pur con la discutibile investitura di un ragazzino a guru del Social Media Marketing (roba da far imbufalire chi cerca di farne un “mestiere”), Favreau si sofferma su come i social network possano decretare l’ascesa o il declino di una persona o un’attività. Un tweet è un passaparola all’ennesima potenza capace di creare file di followers online e resse di clienti (in questo caso affamati) offline.
Concludendo, Chef è un film che diverte molto e intenerisce a più riprese, che sa mantenersi saldo nella leggera spensieratezza incarnata dal suo montaggio estivo e da una colonna sonora latino-americheggiante che fa tenere il ritmo coi piedi. Rispetto ai precedenti di Favreau, un film quindi più introverso ma non meno fresco, più intimista ma non meno coinvolgente, dimostrazione della gioia e della verve di chi sa mettere cervello e non solo soldi o effetti speciali nei film d’oltreoceano.
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