Cheppie a manetta sul Taro

Da Pietroinvernizzi

Ne abbiamo sentito parlare e non gli abbiamo dato peso per molti anni. Poi un paio di mesi fa chiacchierando abbiamo deciso di provare questa nuova avventura, insidiare l’unico anadromo italiano: la cheppia. Così sabato alle 5,30 siamo in macchina in direzione Taro. Non conosciamo assolutamente né la zona né il fiume quindi appena arrivati cerchiamo un buon punto di accesso.
Qui non si scende.
Qui si muore sicuro.
Qui ci sono già quindici macchine.
Qui boh…

Percorriamo, senza accorgercene, qualche centinaio di metri in auto sulla pista ciclabile dell’argine e troviamo un punto che ci sembra tranquillo, promettente e con una sola fishing-mobile parcheggiata. È chiaramente lo spot che fa per noi! Ci prepariamo e scendiamo al fiume passando per un bosco così intricato che siamo assolutamente certi che nessuno sia sceso di lì. Sbuchiamo sulla sponda e ci troviamo davanti a un moschista attempatello che continua a farci un pelo preoccupante con la sua esca. Il fatto poi che lanci veramente male non contribuisce alla nostra tranquillità… Controlliamo e in quel tratto di un centinaio di metri contiamo almeno sette pescatori. Uno lancia e parla al cellulare a monte mentre altri cinque stanno allegramente andando a valle camminando in mezzo all’acqua. Lo sconforto è grande e rimaniamo una decina di minuti buoni a osservare questo variegato circo di lanciatori. Ma siamo qui e abbiamo voglia di mettere un nuovo pesce nell’acquario. Ci facciamo forza e iniziamo a scendere a valle facendo qualche lancio svogliato e poco convinto. Superiamo l’allegro e nutrito gruppo di pam e arriviamo in testa a una bella lama profonda, lenta e non affollata. Ci stiamo credendo davvero poco e il fatto che tutti i pescatori incontrati si lamentino che la giornata non è buona non aiuta per niente. Pietro fa il primo lancio traverso nella lama e attacca qualcosa che tira tremendamente. Salti, schizzi e sfuriate e arriva la prima cheppia. Oh bella, allora ci sono! Mentre la slama faccio un lancio, botta clamorosa in canna e ne attacco subito un’altra che però perdo, porco qui e porco lì.
Pietro ne spiaggia una seconda. A questo punto la faccia del moschista, ancora a bocca asciutta di fianco a noi è abbastanza incredula e rabbuiata… Io vado un po’ più a valle e ne allamo una quantità incredibile ma continuo a perderle poco dopo o addirittura sotto i piedi. Preghiere laiche, anche molto fantasiose si sprecano. Mi raggiunge Pietro che, malgrado le due già prese subisce lo stesso infame destino. Memori dei consigli ricevuti, arriva l’illuminazione e le cheppie iniziano ad arrivare a riva con una certa continuità.
Siamo galvanizzati dai risultati raggiunti già alle 8 di mattina e saremmo a posto anche così, ma la giornata è ancora lunga e prendere più pesci di quanti ci facciano fessi diventa una questione d’onore.
La mattinata passa veloce  contando quante cheppie riescano a buggerarci e ci sediamo a tavola con risultato si a sfavore, ma in netta ripresa per noi. Ci ammazziamo di gnocco fritto e tagliatelle al ragù d’anatra e pianifichiamo il pomeriggio. Decidiamo di risalire il fiume per cercare le femmine, quelle più grosse a detta di chi è pratico. Detto fatto. Saltiamo in macchina e troviamo una lamona simile a quella della mattina, bella profonda e lenta. Sull’altra sponda alcuni ragazzi cercano siluri e noi facciamo la nostra porca figura arrivando, tirando a riva un buon numero di belle cheppie e andandocene… Uno dei ragazzi che cacciava siluri era in compagnia del fratellino di una decina d’anni che quando mi ha visto prendere la prima è andato dal fratello a dire: “Quello ha preso una cheppia così”, allargando le braccia a dismisura. Il grande allora gli ha fatto capire che era abbastanza nervosetto e contrariato dal non aver ancora preso niente dicendogli: “Scemo, cretino! Se non chiudi la bocca ti tiro una bastonata in testa!”. Per fortuna il piccolo si fa scivolare tutto addosso e continua a giocare col cane. Saliamo ancora qualche chilometro il fiume ma quello che troviamo non ci piace. L’unica cosa che ci colpisce è un vecchio chiuso in macchina sotto un ponte della statale in una zona isolata, chissà che stava combinando…

Decidiamo di fare il tramonto nello stesso spot della mattinata che tante gioie ci ha regalato. Peschiamo fino al crepuscolo incantando ancora molti pesci. Quando ci incamminiamo verso casa abbiamo le braccia e i polsi che fanno male; un po’ per la tecnica di recupero a canna in acqua e mulinello a manetta, un po’ per quanto tirano questi pesci spettacolari. Sfrizionii e ripartenze da piegare in due la canna sono normali, anche con quelli più piccoli. Un formidabile avversario, vero e proprio salmone nostrano.

Giusto per la cronaca, a fine giornata di una delle più divertenti giornate di pesca di sempre il tabellone segna: (Il primo numero si riferisce ai pesci portati a riva, il secondo a quelle che ci hanno fregato. Quindi il numero di attacchi è dato dalla somma dei due…)

Jacopo – Cheppie 15-25
Pietro – Cheppie 22-24



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