Chernobyl, Ucraina, 22 mag 2011, giorno 132, mensa dell’impianto
Chernobyl, una tranquillo villaggio situato 100 chilometri a nord di Kiev e a 16 dal confine bielorusso. Il sito è tristemente famoso per essere stato teatro del più grave disastro nucleare della storia dell’uomo. Il 26 aprile 1986 alle ore 01:23 il reattore numero quattro della centrale nucleare è saltato in aria, diffondendo materiale radioattivo in tutta Europa. All’inizio, l’allora governo sovietico ha cercato di tenere la notizia riservata, ma la nube radioattiva, diffusasi a causa del vento verso nord, ha allarmato la centrale nucleare svedese di Forsmark, la quale credeva di avere delle perdite radioattive interne. Appurato che la causa dell’icremento di radiazioni non era da attribuire all’impianto svedese, si è comincito a cercare altrove, volgendo le ricerche soprattutto in Unione Sovietica. La notizia è rimbalzata per tutta l’Europa e a causa delle pressioni internazionali L’URSS iniziò a fornire notizie circa l’incidente. Nella storia dell’energia nucleare solo due eventi sono stati classificati come livello 7 (il massimo) nella scala INES dell’IAEA: Chernobyl e Fukushima.
Essendo il tema del nucleare piuttosto attuale, data la decisione del governo italiano di lanciarsi in questo progetto, ho deciso di andare a vedere il luogo del disastro con i miei occhi. La zona è strettamente riservata ancora oggi. L’accesso è consentito solo ad alcune persone ed è impossibile avvicinarsi al sito autonomamente. A Kiev c’è però un’agenzia che organizza dei tour per visitare l’area. Tutte le informazioni si possono trovare sul sito www.tour2chernobyl.com. La visita costa 160 dollari americani e dura una giornata. E’ un po’ caro, ma dove altro si può avere l’occasione di osservare direttamente gli effetti di un disastro nucleare? Il viaggio da Kiev al villaggio di Chernobyl dura circa due ore e mezzo. Prima di arrivare al villaggio si passa un check point militare dove viene effettuato un controllo dei passaporti. Tutto intorno è pieno di cartelli con il simbolo della radioattività e scritte in cirillico. Contrariamente a quanto si può pensare, il villaggio non è disabitato. Il governo permette agli abitanti originali di soggiornare nelle loro case per quindici giorni ogni trenta. Le strade comunque sono quasi deserte e gli autoctoni che si incontrano sono perlopiù anziani, gente dura che è restia ad abbandonare la propria casa anche se il rischio di contaminarsi è alto. Al villaggio ci viene presentata la guida, la quale ci dice le regole da seguire: non camminare sull’erba, solo sull’asfalto, non raccogliere niente da terra, non bere acqua se non dalla bottiglia, non portare via alcun oggetto dall’area e prestare attenzione a dove si mettono i piedi. Prima di partire da Kiev ci avevano detto di indossare solo abiti lunghi, niente magliette o pantaloncini, e di portare scarpe chiuse. La guida ci consegna anche due contatori Geiger per tenere monitorati i livelli di radiazioni lungo il percorso. Dopo un breve briefing introduttivo sul disastro e la diffusione delle radiazioni si parte alla volta del reattore. Ci fermiamo dopo poco per fotografare la struttura da lontano.
La guida ci ripete di non camminare nell’erba. La terra è radioattiva, l’asfalto no. Se si infilasse una sonda per il rilevamento delle radiazioni nel terreno fino a giungere agli strati del 1986 si rileverebbero alte tracce di radiazioni. L’asfalto invece è lavato dalla pioggie ed è stato rifatto, quindi è totalmente privo di sostanze radioattive. Si sente come un frinire di grilli tutto intorno, ma non sono grilli: sono i contatori Geiger. A questa distanza lo strumento segna un livello di 0,4 micro Rd. Proseguendo si arriva all’imbocco della strada che porta a Pripjat, la città in cui vivevano gli operai del reattore e che è stata evacuata ed abbandonata dopo l’incidente.
L’arrivo in città è impressionante. La via principale è quasi completamente invasa dalle piante. Sembra di stare su un set di un film apocalittico tipo “Io sono leggenda”, solo che qui è tutto vero. Gli edifici abbandonati, casermoni sovietici in cemento armato originali, sono coperti da vegetazione e dove una volta c’erano i cortili e le strade adesso ci sono solo piante. Intorno tutto è deserto, nessun contatto umano, solo lo scheletro della vecchia città. La piazza principale è solo piante e cemento. Dall’alto di un edificio il simbolo del comunismo, la falce e il martello, svetta ancora sulla desolazione più totale.
Entriamo negli edifici. Tutto è abbandonato, tutto è vuoto, ma le tracce dell’uomo rimngono eccome, anche se tutt’intorno è pieno di cocci, di rottmi, di lastre di parquet smosse dal pavimento. Libri, giornali, una palla da basket sgonfia, un paio di scarpe. Chissà che fine h fatto il proprietario. E’ facile immaginare la vita degli ex abitanti. Sembra quasi di vederli tra le macerie. Invece sono tutti andati, molti morti, altri trasferiti. La città è anche un esempio di città sovietica originale. E’ come fare un enorme tuffo nel passato, al tempo del comunismo, al tempo in cui l’Ucraina era ancora URSS, al tempo in cui il reattore non era ancora esploso.
Visitando la piscina comunale si possoano ancora vedere i galleggianti delle corsie. Nella scuola ci sono ancora i disegni dei bambini nelle classi. La tristezza regna sovrana. Il luogo forse più impressionante di tutti è il parco giochi. La pista degli autoscontri abbandonata, la giostra arrugginita, il calcinculo che è un rottame. La ruota panoramica è ancora in piedi e domina questa distesa di niente, di tristezza e di abbandono.
Ground Zero, a confronto, sembra una fiera di paese. Qui il livello di radiazioni è 1,11 micro Rd. L’ultima tappa a Pripjat è un condominio, l’edificio più alto della città. Negli appartamenti deserti si possono ancora vedere i materassi, i divani, le stufe e i water usati dgli abitanti. Per usre un altro paragone cinemtografico sembra di essere sul set del film “Goodbye lenin”. Dal tetto si vede tutto il panorama. Gli edifici in cemento armato sono indistruttibili e recano ancora la geometri della città una volta abitata. Tutto il resto è solo vegetazione. Le strade sono invisibili. Solo le scritte sui tetti fanno capire che cosa si sta guardando. Sullo sfondo è il reattore. Viene da chiedersi se quella stessa scena è stata osservata quella terribile notte, se gli abitanti svegliati dall’esplosione siano saliti sul tetto per contemplare lo spettacolo della loro rovina.
Il pranzo è in una mensa poco distante dalla città. Prima di entrare si deve passare attraverso uno scanner che rileva la quantità di radiazioni raccolte. Se il valore è troppo alto una sbarra proibisce l’accesso. Per fortuna i nostri valori sono quasi inesistenti. Prima di fare ritorno a Kiev si va a vedere il reattore vero e proprio, il numero 4, il disastro. A 300 metri dal sarcofago di cemento che ricopre il nocciolo fuso del reattore la quantità di radiazioni rilevata è di 3,45 micro Rd, il valore più alto registrato. La guida ci dice che all’interno del sarcofago riposano dispersi i corpi di alcuni pompieri o soccorritori che hanno perso la vita quel giorno. Un monumento situato di fronte alla centrale installato nel 2006 è dedicato a tutti coloro che hanno perso la vita per salvare il mondo dal disastro nucleare.
Ma qual è stata la causa dell’esplosione? Le versioni sono due, entrambe piuttosto lunghe e complicate. Per tutti coloro che desiderassero avere informazioni dettagliate consiglio la pagina di Wikipedia dedicata al disastro di Chernobyl. Per semplificare enormemente, si può dire che la causa è stata un insieme di cause che, prese singolarmente all’interno di tutto il quadro, potevano essere non tanto gravi, ma sommate una dopo l’altra hanno portato a quello che è successo. Il tutto è stato un test. Si doveva effettuare al pomeriggio, ma una centrale elettrica vicina aveva avuto un guasto e aveva chiesto di non sospendere l’erogazione di energia. Il test si doveva effettuare a mezzogiorno ma è stato rinviato di 12 ore. Questo ha chiamato in causa i lavoranti del turno di notte, i quali non erano preparti per effettuare il test in programma. Errori nel disattivare i sistemi di sicurezza ed errori nella gestione delle barre di raffreddamento. A tutto ciò si deve aggiungere un errore di progettazione della centrale e il fatto che certe reazioni chimiche, legate soprattutto alle barre di raffreddamento, si sarebbero conosciute più a fondo solo negli anni a seguire. Tanti piccoli errori che hanno portto alla tragedia che oggi conosciamo. I morti legati a questo avvenimento oscillano, tra le tante stime, tra le 4.000 e le 270.000 persone, oltre alle 65 direttamente coinvolte nell’esplosione. La causa principale di morte è il cancro dovuto all’esposizione alle radiazioni. Alcuni addirittura parlano di 6.000.000 di morti direttamente imputabili a tumori o leucemie derivate dalle radiazioni di Chernobyl. Tutti questi dati si trovano su Wikipedia.
Nucleare sì o nucleare no? Io non sono un esperto e non voglio fare finta di esserlo, però alcune cose le so. So che l’energia nucleare ha tanti vantaggi, che dal 1986 si sono fatti parecchi passi avanti nella gestione e progettazione delle centrali e che in tutta la storia di questa energia solo due volte si è arrivati alla catastrofe. La prima la abbiamo analizzata, la seconda, Fukushima, è dipesa in gran parte dallo Tsunami, e non da errori umani o di progettazione. Però chiediamoci: il gioco vale la candela? Vale la pena rischiare situazioni del genere quando si potrebbe fare in maniere diverse? Tutti quelli che dicono che è impossibile che succedano i disastri nucleari devono fre i conti con la realtà: non è impossibile, è successo e può succedere ancora. E’ giusto allora iniziare un programma che, in caso di errore, porta alla distruzione della vita per decenni, alla contaminazione di terre, acque e cieli? E’ furbo rischiare tanto? Dopo avere visto quello che ho visto, direi proprio di no. Il fatto è che il materiale radioattivo crea un’infinità di problemi. Oggi a Chernobyl il problema più grande è costituito dal nocciolo fuso, ancora radioattivo, e dal sarcofago di cemento armato che lo contiene. La struttura, oltre a cedere sotto la forza degli agenti atmosferici, è talmente pesante che sprofonda nel terreno. Il rischio è che l’acqua piovana, penetrando attraverso le fenditure che si formano inevitabilmente, possa raggiungere le falde acquifere e quindi diffondersi nuovamente. Immaginate il danno? Acqua radioattiva che viene usata per irrigare, per l’igiene personle, acqua che viene bevuta. L’energia nucleare avrà anche tanti pregi, ma ha un grande difetto: se le cose vanno male, rimediare del tutto è impossibile e occorrono decine di anni. Vorrei che le persone che sono favorevoli al nucleare vedessero le conseguenze coi loro occhi. Credo che in molti cambierebbero idea.