“Chernobyl Diaries. La mutazione” (“Chernobyl Diaries”, 2012) è il
primo lungometraggio del regista Brad Parker.
Quando l’esordio dietro la macchina da presa è un horror ci si aspetta
sempre un marchio nuovo e dirompente. Lo spettatore avvezzo (o quasi)
a paure d’effetto, sincopate o simil splatter non si lascia certo
suggestionare ma oramai il ‘fai da te’ sta usurpando il buon vecchio
cinema di puro intrattenimento e di paura agognata dove si vedeva poco
(del/i mostri) e si rimaneva quasi estasiati dell’invisibile e dal
sonoro palpabile per avvicinarsi ad una sequenza minima dove una
piccola ombra già era lì (in)concludente (e il veder tutto era
niente). Non soddisfatto del nulla che si possa immaginare e delle
corsie preferenziali delle (auto)riprese, compresi i superotto di
certi boys che aspirano alla nudità del proprio corpo (cerebrale), la
voglia cinematografica (mai paga) di avere il grande schermo davanti
propina al pubblico in questo inizio d’estate (solo col calendario) le
pellicole ‘solite’ di resto dell’anno e/o di facili suggestioni
giallo-horror per riempire la lista (spesa) di una multisala aperta e
delle poche monosale ancora accaldate per proiettare un film di
ripiego prima dell’arrivo di un blockbuster forte (unico in luglio)
per arrivare al pre-ferragosto. Si deve dire che le promesse
distributive non invogliano affatto (anche il più appassionato) a
vedere certi films di basso costo (in tutti i sensi) nella bassissima
stagione (vuota di idee in partenza). Una tristezza unica.
“Chernobyl Diaries” mi ha incuriosito nel titolo (in inglese) mentre
il sottotitolo italiano lasciava presagire qualcosa di meno
convincente. E questa volta il qualcosa in più distributivo coglie il
segno per una pellicola di valore medio già in partenza e uno
scrittura alquanto semplice e alla fin fine inconcludente. Una
pellicola dignitosamente che vuole volare al ribasso dove i personaggi
sono frammentari(zzati) e le interpretazioni di livello (abbastanza)
infimo. Oramai il propinare il solito gruppo di ragazzi senza-pericoli
per viaggiare dentro una fittizia (auto)distruzione sta diventando un
rituale di molta sceneggiatura di ripiego e di produttori che provano
a cercare l’ago in un pagliaio (negli attori e in una storia che possa
sbarcare il lunario degli incassi per un successivo film).
Purtroppo c’è poco da dire. I primi venti minuti sono solo di
proforma, tirati via con grande ‘chalance’ dove le caratterizzazioni
sono tirate via (un po’ alla grossa). Eppure le motivazioni per una
migliore introduzione c’erano tutte ma la voglia di spender poco (il
basso costo a oltranza porta alla autodistruzione non già il gruppo
all’arrembaggio ma il film stesso) nella pochezza della voglia di
girare un film di un certo gusto e livello. Poi il rituale diventa
risaputo. Un furgone che non riparte, l’autista fatto fuori, la notte
che incombe in una città desolata (Pripjat) piena di incubi irreali e
di mostri veri tutto in una successione di eventi con una tensione
horror convincente quando la fuga è solitaria (è la cinepresa il
mostro) con una torcia che buca il buio totale mentre diventa
(assolutamente) banale quando lo scontro ragazzi-paure vuole diventare
serio e veritiero. Tutto, in questo caso, appare scontato, accumulante
e, semplicemente, modesto e insulso. Il finale (ultimo minuto, che non
dico) appare senza significato e irrilevante: si aggiunge qualcosa che
vorrebbe essere macabro irridendo il mondo ospedaliero (sovietico) in
un contesto narrativo oramai alla deriva e raggrumato di stupide
brutture.
Un gruppo di ragazzi (da quattro in origine alla partenza si aggiunge
la solita coppia d’amore in cottura più l’autista dell’agenzia per
viaggi estremi –unica per il film- gestore unico di se stesso) vuole
fare una vacanza (già poco indicativa all’origine) nella città ucraina
di Pripjat divenuta fantasma dopo l'esplosione del reattore della
centrale atomica di Chernobyl nel 1986 (la notte del 25 aprile il
reattore n* 4 inquina e annienta il nondo circostante). Il film è
stato girato in altri luoghi e in posti ‘amichevoli’ per raccontare il
massacro che portò il disastro nucleare e tutto va bene meno che
indagare sul vero post-Chernobyl. I sei baldanzosi Paul (Jonathan
Sadowski), Chris (Jesse McCartney), Amanda (Devin Kelley), Natalie
(Olivia Dudley), Michael (Nathan Phillips) e Zoe (Ingrid Bolso Berdal)
con l’aggiunta di Uri (Dimitri Diatchenko) vogliono a tutti i costi
superare il confine off-limits della città di Pripjat. Dopo un
tentativo regolare (controllato dalla polizia) il gruppo passa,
percorrendo una strada imboscata, una recinzione lontana da facili
controlli. L’inizio è di reportage-foto-incredulità e di qualche
disillusa risata fino a quando il gioco scherzoso di una vacanza e la
fuga rapida dal posto si trasformano in un incubo costretti a rimanere
nella notte della vita fantasma. Il piccolo pullmino è in avaria (e sì
che i fili di accensione qualcuno li avrà tagliati…) e Uri crede in un
batter d’occhio di controllare la situazione (“telefona
all’agenzia”..,..”sono l’unico socio”..,..”ma quella è una
pistola”..,..”calma…vi porterò fuori…”…) ma strani rumori cominciano a
sentirsi e fare la perlustrazione notturna non è il massimo… infatti
alla ‘spicciolata’, con annessa suspense ‘limitata’, il gruppo si apre
al buio dei fantasmi (‘sono ignari di quello che può capitare’ o ‘non
avranno mai visto un’horror quadritico’!?) e le cose si mettono male.
Riuscirà a salvarsi qualcuno?”! Domanda quasi retorica. Ci sono orsi,
cani, lupi, radiazioni, malati, fantasmi e incubi dapertutto. In bocca
al lupo…verrebbe da dire. Mai augurio più illogico! Per un sequel ci
saranno i morti viventi in ogni dove figurarsi a Chernobyl.
Il produttore Oren Peli (il regista di ‘Paranormal Activity’ del 2007)
conosce bene le regole per pellicole giovanili e la serialità del
genere ‘paranormal’: tutto ciò lo ha portato ad un ennesimo prodotto
rimasuglio di altri (naturalmente) con convenzioni, grida, corse, buio
e banalità risapute. Il fatto di (auto)vedersi (e di mostrarci in
registrata) in una ripresa durante la foga dell’eccitazione e dalla
fuga del pericolo lascia intendere che il film è poco serio e
l’autoreferenzialità del prodotto è già implicita prima ancora della
tecnica del video turistico d’esportazione. Un qualcosa di poco serio
e approssimato nella tracciabilità dei personaggi, nella scrittura e
in una recitazione inconcludente e, quasi, per caso. Un gesto da
pellicola inerme, labile e solo ‘alimentare’ dove manca un certo
approfondimento di ciò che si vede (ma qui le intenzioni mancano già
da subito) e una sfaccettatura (auto)ironica. Il senso di
paura-spettatore arriva ma è fine a se stessa: non ci sono risvolti.
Un continuo inseguimento (per carità due o tre sequenze si ricordano
alla minima luce) che finisce in un tu per tu imprevisto (per i
ragazzi…) ma facilmente prevedibile.
Gli attori fanno quello che possono ma è d‘obbligo chiudere il
discorso su ogni battuta che dicono. Le grida fanno il resto. La regia
di Brad Parker è mediocremente insulsa a discapito dei luoghi scelti
(avamposti giusti) e delle fotografia che regge la messa in scena (non
certamente di livello o meglio non valorizzata).
Voto: 5-.
(recensione di loz10cetkind)