L'horror antiquario (Argento, Avati, Bianchini) si muove tra vecchie cose dimenticate: fotografie ingiallite, vetusti giocattoli, libri perduti, documenti polverosi, affreschi semicancellati: oggetti del passato che rivelano antiche storie crudeli. Anche prima del cinema: basta pensare alle “Ghost Stories of an Antiquary” di Montague Rhodes James. Ma si potrebbe parlare anche di un horror antiquario dei luoghi, che si svolge negli ambienti degradati dell'archeologia industriale et similia: fabbriche dismesse, vecchi ospedali abbandonati, paesi disabitati. Che, inutile dirlo, fanno più paura dei castelli gotici della Hammer - perché quell'atmosfera di degrado ci tocca più da vicino.
Ora, il brutto “Chernobyl Diaries” di Bradley Parker si basa su un'idea formidabile (dello sceneggiatore Oren Peli, l'autore di “Paranormal Activity”): un gruppo di ragazzi americani in vacanza in Europa approdano a Kiev e il più scemo di tutti ha l'idea di trascinarli in un tour estremo - ovviamente clandestino - nella città fantasma di Pripjat', la città ucraina che fu abbandonata dopo il disastro della vicinissima Chernobyl. Va subito detto che il film (in realtà girato in Ungheria e Serbia) provvede una location e un lavoro scenografico del tutto all'altezza. Si imprimono nella memoria gli appartamenti vuoti, il luna park abbandonato, i locali di ritrovo e di riunioni politiche luridi e devastati, tutto lasciato in preda al potere distruttivo del tempo. Sarebbe uno spettacolo cupo comunque; se poi la fiction vi sovrimprime lo stigma della catastrofe radioattiva di Chernobyl, diventa francamente pauroso.
Tanto più brucia che il film sia un'occasione totalmente sprecata. Ancora pazienza se “Chernobyl Diaries” non si allontana di un millimetro dall'usual fare del cinema slasher: primi segnali sinistri, il camioncino non parte più, cala la notte, oscure presenze, la tettona terrorizzata, prime scomparse e/o ferimenti, eccetera. Per la cronaca, la guida del gruppo, un ex militare russo che sembrerebbe tough as nails, come si dice (ed è anche - l'attore Dimitri Diatchenko – l'unico dotato di una presenza scenica convincente), è il primo a mordere la polvere. Il punto è che questo film goffo e piatto non sa sfruttare le sue possibilità né sul piano della lenta e sadica costruzione della suspense né su quello della maligna e isterica esplosione del massacro. L'atmosfera di minaccia che si basa soprattutto sull'effetto dell'ambiente finisce per spegnersi nella noia; e questi orrori nascosti si risolvono in quattro cani inselvatichiti e un drappello di zombi (vivi, niente di soprannaturale) creati dalle radiazioni. In qualche modo è indicativo che altri dettagli più inquietanti (i pesci mutanti) non vengano realmente sfruttati.
Infine, e peggio, manca qualsiasi possibilità di empatia. “I miei amici sono cretini”, dice una ragazza all'inizio commentando i filmati del viaggio: ecco in nuce tutto il film. Certo, è la prima delle regole del genere slasher che un gruppo di adolescenti deficienti si precipiti tutto giulivo a far da pecore al macello. E' talmente obbligatorio che fornisce la base metanarrativa, seria a “Scream”, ironica a “Scary Movie”. Ma i protagonisti di “Chernobyl Diaries” sono deficienti a tal punto da ingenerare un sentimento di totale ostilità nello spettatore – il quale, fregandosi le mani in anticipata Schadenfreude, si dice: sarà un vero piacere vederli morire. Ebbene, anche questo ci viene negato: non è che non muoiano, è che la goffaggine della regia non sa neppure rendere adeguatamente spettacolari le loro traversie e la loro dipartita.
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