Occorrerebbe un Regolamento Comunitario in grado di impedire a chiunque di far recensioni, su qualunque opera scritta, almeno sino all’aver letto/preso in considerazione un minimo tre componimenti dello stesso autore. E data la frequente capacità europea di trattar in senso legislativo delle cose più amene, non vedo perché la mia proposta non possa esser presa in considerazione seriamente.
Ho suggerito almeno “tre componimenti”, solo perché in tanti si completa la Trilogia che Frank Spada dedica al suo Marlowe. Ma sono convinto che dopo aver letto un inesistente “quarto”, dovrei necessariamente rimodulare la mia richiesta al Presidente del Parlamento Europeo, quanto meno nella quantificazione essenziale. Ogni libro, ogni parte del Tre, dice qualcosa di diverso, pur nell’unitarietà divina della Rivelazione dell’autore.
Qualche tempo fa ho avuto il piacere di recensire Marlowe Ti Amo (link all’articolo), in qualche modo ho cercato di porre in risalto lo stile della scrittura ed i concetti simbolici custoditi all’interno delle parole. In un fraseggio bebop; “Il narrare supera il narrato, il raccontare diviene arte, al di là di ciò che vuole esser raccontato.”, così scrivevo il 16 Gennaio 2012.
Sono discorsi che affiorano prepotentemente sin dalle ultime pagine del primo pezzo di Trilogia, ma che Spada, nel suo romanzo successivo, ritiene di dover ironicamente esplicitare per bocca di un’infermiera che si rivolge a Marlowe, ancora in preda ai postumi di una operazione:
A volte capita che per qualche giorno il paziente sia portato a credere di essere un’altra persona, ma dia tempo al corpo di smaltire tutto e ritroverà i suoi pensieri abituali.
Da qui iniziano le investigazioni di chi legge! Solo una precisazione va fatta, non si concentri il lettore, sull’altra sconosciuta identità di Marlowe, non sottovaluti cioè Marlowe stesso.
E, a onor del vero, Spada spesso inserisce nel corso delle pagine dei riferimenti, degli indizi, poco velatamente conradiani, potrei dire. Ma il nome “Marlowe” pone in essere dei seri problemi di ordine pessoano – come già scritto – poiché non bisogna dimenticare, nel corso dell’investigazione, che sull’identità di Christopher Marlowe spesso si incrociano dubbi riguardanti un’altra identità, quella di un certo William Shakespeare, ad esempio. Senza dimenticare che quest’ultimo, in base a certe teorie in una certa misura suffragate da fatti, cose senz’altro interessanti e suggestive, viene riconosciuto nella persona di un messinese, tale Scrollalanza, costretto alla fuga in Inghilterra per motivi politico-religiosi, ove infine tradusse in lingua anglosassone il proprio cognome. Dimmi chi sei Marlowe è la domanda fondamentale della nostra essenza letteraria moderna, spero che qualcuno se ne renda conto.
La trilogia di Spada, ormai è chiaro, non va letta come un noir qualunque. Sì, c’è un plot, anche interessante, ma si tratta del solito sistema sciasciano, la scusa del giallo per parlar d’altro. Credo comunque di essermi lasciato prendere la mano, dimenticando (del tutto nel primo articolo che ho scritto su Spada) che queste fini discussioni trasmesse in scrittura dall’autore, hanno il fine di porre in dubbio le naturali credenze e superstizioni democratiche di un paese allo sbando, il nostro paese globale, se proprio non si vuol pensare all’Italia:
“E l’elettorato attivo? È una popolazione innocua, incapace di tentare un moto di rivolta verso il malcostume…”
Dichiarazione che fa il paio ai forti dubbi riguardo un’altra grande illusione, quella rivoluzionaria. I cui risultati oggettivi sono da riscontrare nella sostanziale prigionia “dell’individuo (che) è privato della libertà di essere se stesso, la disuguaglianza (come) è quella che vedi ogni giorno per le strade e la fratellanza quella che mostra i dettagli dell’ipocrisia.”
Sciascia forse piangerebbe a queste affermazioni, consapevole di quanto la deludente realtà dei nostri tempi abbia smentito quegli ideali in cui sarebbe bello (e meglio) ancor credere. Probabilmente c’è da convincersi del tutto che per fraternité ci si riferiva alle “fraternità” di tipo massonico ed intrallazzista che oggi governano il mondo; non certo alla fratellanza (brotherhood) come legame più che simbolico, parentale, in grado di accomunarci tutti.
Descrizioni acute di un nefasto mondo politico che è la conseguenza di quanto detto:
“ombre, sinuosamente scure sul fondo delle immagini, tanto che… “guarda che sono quelle bestiacce micidiali che arrotano le spire nelle profondità melmose, pronte a salire in superficie per avvinghiarsi ai palazzi del potere, serpenti, come rampicanti che s’insinueranno ovunque, che stritoleranno di veleno il paese da costa a costa, sono i lestofanti in giacca e cravatta, quelli in uniforme, quelli con un breviario di politichese in mano e quegli altri…” A loro penseremo un’altra volta! Urlo al mio compare…”
In effetti Spada si diverte a parlar, a descrivere ambientazioni e particolari dal sapore statunitense, utilizzando termini e riferimenti che sono essenzialmente italiani. È forse questo uno degli inganni più piacevoli del libro, una “finzione”. Mettiamola in altre parole: l’America raccontata da un italiano che si finge americano e fa di tutto per farsi scoprire nella vera nazionalità.
“questa la città, questi i luoghi dove la gente sfaccenda l’esistenza non aspettando certo il diluvio universale.”
Suona come una descrizione globalizzante del nostro enorme paese/mondo, tuttavia il colorito della rappresentazione è quello provinciale, di una città del nostro frammentato stivale. Quello che ogni giorno vive di situazioni del genere:
Succede spesso che le amministrazioni pubbliche diano il via a iniziative improrogabili – dice che le chiamano emergenze – solo perché diversi capi in testa, riuniti in sindacato, dirottano grandi somme di denaro per realizzare qualche infrastruttura o qualche mega-edificio o per dar lustro a luoghi nel deserto. Ora, che tutto vada a buon fine è già un dramma costoso per i contribuenti, ma il bello viene prima, perché quegli stessi pesciolini che fanno da piloti a quelli più grandi, mettono i bocconi da spartirsi nel magico freezer di qualche società d’affari; generalmente dell’industria immobiliare, tenuta sottochiave dal capo in testa o del suo parentado, dove i soci fondatori li ritrovano moltiplicati per organizzare sontuosi banchetti assieme ai consoci anonimi bancari e, a cose fatte, per ridersela alle spalle della gente. Ma anche questo è ancora niente. Pare che il sistema abbia fatto progressi e il giochetto, che ora ha preso piede, è quello di realizzare edifici pubblici talmente costosi da mantenere che, passato qualche anno dalle trionfali inaugurazioni al suono delle trombette elettorali, alle amministrazioni risulta conveniente venderli al migliore offerente. E guarda caso, l’acquirente è sempre qualcuno del gruppo riunito in un sindacato permanente e la vendita avviene come per incanto a prezzi stracciati, purché l’acquirente si compri l’affare appetitoso sottobanco. Il tutto, naturalmente, si accompagna ai ringraziamenti pubblici del caso, indirizzati a tessere le lodi di qualche onorevole cittadino sempre pronto a dare una mano alla comunità.”
Ma la domanda che circola ancora è “Chi è Marlowe?”. Spunta Mitchium, lo si attendeva da un bel pezzo, ma poi ci pensa un esilarante barone siciliano, tale Spadafora dalla Mano, a complicare le cose, in questo susseguirsi di quartine che è il parkeriano testo. La zia Elma è confusa, forse consapevolmente, di una consapevolezza densa di incoscienza divina, tanto da proporre anche un Jeremy e la sua Harley, un tizio persosi in giro inseguendo i sogni di Dennis Hopper e Kerouac. Persino Stephen Bloom sembra dissolvere le sue letterarie e giornalistiche imprese nella spirale di infinite “personae”.
Altro che “Doppio Marlowe”, qui la situazione è da capogiro
C’è ancora tempo per una riflessione amara riguardante le falene schiacciate sulle cromatura della Oldsmobile di Marlowe (pag 51 di Doppio Marlowe). Credo che nessuno degli insetti che da secoli solcano le vie aeree del nostro ambito terrestre, abbia mai preso veramente in considerazione gli svantaggi insiti all’affermarsi dell’industria automobilistica.
“qualcuno è rimasto intrappolato! Sto a osservarlo come fossi un entomologo senza qualità ma diplomato in musicologia: cerca di staccarsi, non ci riesce, riprova, avverte il senso materiale dell’immobilità e, tra un tentativo e l’altro, è perseguitato dalle pause che diventano più brevi e le vibrazioni iridescenti più frenetiche. Un’ala resta bloccata. L’animaletto insiste e gira su se stesso che pare un trottolino. Il ronzio si arresta, il dorso è capovolto: le zampette mulinano invano la certezza della fine… Che suggestivo modo di morire! Sincopato come una visione parkeriana, un giro armonico portato oltre il limite della ragione – osservo affascinato.”
Che l’uomo sia l’ennesimo insetto di un macrosistema apparentemente casuale, è solo appendice al suo stesso continuo infrangersi sulle lucide cromature del destino. Su questo mai nessuna rivoluzione francese potrà imporre alcuna ragionevole superstizione.
Un lieto fine in questa trilogia secondo me va cercato in quel rimbombare percussivo del diluvio, nel finale di Dimmi chi sei Marlowe, i tuoni suonano come le potenti rullate di Art Blakey, la fangosa massa pacificatrice giunge sulle nostre architettate brutture e finalmente la gente comune – l’elettorato attivo – può festeggiare, dopo secoli di dissimulazione, al crollo di questa insulsa prigione che ci costruiamo ogni giorno. Lo sguardo è alto, mistico, rivolto per un ringraziamento al Regista del film infinito.
Gaetano Celestre